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La Manovra e le elezioni

Barbara Acquaviti

Barbara Acquaviti

Per qualche ora, lunedì, in molti si sono chiesti se il matrimonio d’amore e d’interesse tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini si fosse infranto sulla soglia della manovra. Alla fine il provvedimento è stato approvato ed entrambi i contraenti di questa unione giallo-verde hanno piantato bandierine da sventolare con gli elettori. Il ministro del Lavoro ha il reddito di cittadinanza e le pensioni d’oro, il numero uno del Viminale ha la ‘quota 100’ che parte da febbraio e quella pace fiscale tanto simile a un condono.

Adesso si attende il giudizio dell’Europa e dei mercati. Ma intanto questo passaggio ha palesato tutta l’anomalia di una maggioranza nata fuori dalle urne: il paradosso di una manovra ‘elettorale’ mentre ancora si sta godendo la luna di miele con gli elettori ne è la sublimazione. E’ questo che dicono i sondaggi, anche se i numeri sembrano favorire più la Lega che il M5s. La querelle legata alla manovra ha fatto perdere qualche punticino, ma il Carroccio resta saldamente sopra il 30% e i pentastellati seguono con circa due punti percentuali in meno. Il primo partito di opposizione, il Pd, resta abbondantemente sotto il 20%.

Può essere legittimo il sospetto che entrambi i partiti si muovano con l’idea che presto il governo finisca la sua corsa e si torni a chiedere il giudizio del popolo. Circostanza che viene apertamente negata, per esempio, da Luigi Di Maio che oggi si spinge a dire che questo esecutivo può durare “cinque anni o forse di più”. Senza tuttavia andare nel campo del plausibile, la certezza è l’importanza che le prossime elezioni Europee stanno assumendo. Saranno un ‘tagliando’ per le due forze di maggioranza: basta pensare che ormai la Lega viene considerata un partito del 30%, ma l’unico dato di fatto è che alle ultime elezioni ha preso il 17%.

Nel voto di maggio, dunque, Salvini non vuole solo vincere ma stravincere anche per il valore transnazionale che quella tornata elettorale potrebbe assumere, visto che potrebbe cambiare la geografia politica di tutto il vecchio continente, con un’avanzata delle forze cosiddette sovraniste e la rottura dello storico asse tra Ppe e Pse. E certo il M5s non ha intenzione di lasciarsi soffiare il posto di primo partito italiano, certificato dalle ultime elezioni politiche.

A questa competizione per la primazia, si aggiungono le differenze ‘strutturali’ di queste due forze che, se da una parte, elettoralmente
uniscono il Nord e il Sud, in questa manovra hanno finito per ‘dividere’ nuovamente in due il Paese. E così accade che una misura cara, per esempio, all’elettorato grillino come il reddito di cittadinanza sia inviso al ceto produttivo a cui guarda la Lega. E, al contrario, la pace fiscale strizzi l’occhio al bacino del Carroccio, infastidendo la base grillina cresciuta con l’illusione che per governare bastasse predicare “onestà, onestà”.

Due visioni, due Italie diverse che per il momento si è deciso di nutrire parimenti individuando nell’establishment e nei poteri forti il nemico comune. In fondo è questo, per ora, a cementare la maggioranza più del totem del ‘contratto di governo’.

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