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Shopify su Instagram, ultima frontiera è il dropshipping

Una volta l’eCommerce era un rapporto a due: c’era il cliente che sceglieva online il prodotto, e il venditore, che si occupava di magazzino, imballaggio, spedizioni. Negli ultimi tempi, questo rapporto di coppia è diventato un triangolo. Il triangolo si chiama dropshipping: un modello di eCommerce in cui c’è un venditore, che si preoccupa esclusivamente di pubblicizzare i prodotti online sulle piattaforme social, vendendoli al cliente finale senza mai avere fisicamente il prodotto in mano. L’oggetto, infatti, viene spedito direttamente dal fornitore – il dropshipper – in moltissimi casi dalla Cina.

La più diffusa piattaforma per il commercio multicanale con dropshipping è Shopify, che ha recentemente annunciato l’integrazione con Instagram e l’abilitazione per i commercianti di 8 nuovi mercati, tra cui l’Italia. Con Shopify chiunque può aprire un negozio online senza capitali e senza prodotti in magazzino, e può pubblicizzare la propria merce su Facebook, ma soprattutto su Instagram: il regno dell’immagine dove tutto appare più bello di quanto sia nella realtà. Il mondo del dropshipping, infatti, può essere molto scivoloso: dietro un annuncio pubblicitario che vi ammicca sui social (targettizzato in base alle vostre ultime ricerche), si può nascondere un oggetto di bassa qualità proveniente dall’altro capo del mondo.

Shopify, nome che risuona come la più famosa Spotify, è un po’ il WordPress dell’eCommerce: tutti possono aprire un negozio, senza inventario e quindi senza investimento iniziale. La piattaforma è connessa con una costellazione di app che permettono agli utenti di customizzare il proprio negozio. Con Sales pop, ad esempio, si possono far apparire dei pop-up mentre i vostri clienti stanno guardando un oggetto per avvertirli che qualcun altro, nel frattempo, l’ha già acquistato. Obiettivo? Mettergli fretta e trasmettergli senso di scarsità. Shopify, inoltre, è integrata con Oberlo, l’app che permette ai venditori di offrire prodotti direttamente da AliExpress, la piattaforma che raccoglie le piccole imprese dell’eCommerce cinese gestita dal colosso Alibaba. In questo modo i venditori possono scegliere i prodotti direttamente da AliExpress e venderli senza il bisogno di conoscere i fornitori né di avere mai la merce tra le mani. In altre parole, Shopify alimenta un ecosistema di annunci pubblicitari che appaiono sui nostri social con nomi accattivanti e dal sound “occidentale” pur servendosi di prodotti e di manifattura cinese, senza doverlo palesare. Il rischio per l’utente finale è quello di cadere nella trappola di un annuncio “perfetto”, con un prodotto che sembra di alta qualità (pur avendo un prezzo accessibile), e di restare incredibilmente deluso dopo la consegna di un pacco che ha fatto il giro del mondo.

Shopify ha avuto una crescita vertiginosa in fatto di utenti e di volume di transazioni negli ultimi anni: conta oltre 500 mila venditori, e nel 2017 ha gestito prodotti per 27 miliardi di dollari, il 70% in più rispetto al 2016. Il primo maggio 2018 la società ha pubblicato i risultati finanziari del primo quadrimestre: la revenue è stata di 214,3 milioni di dollari, il 68% in più rispetto allo scorso anno. Il volume totale dei prodotti venduti attraverso Shopify è cresciuto del 64% dal 2017, per un totale di 8 miliardi di dollari di transazioni. Numeri che tuttavia sono inferiori ai tassi di crescita che la piattaforma ha segnato lo scorso anno rispetto al 2016, elemento che ha spaventato alcuni investitori e che ha fatto scendere le azioni di Shopify alla NYSE dopo la pubblicazione dei risultati finanziari.

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