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Ponte Morandi, scontro aperto Autostrade-Mit

Il giudizio della Commissione ispettiva del Ministero dei trasporti sulla tragedia del ponte Morandi e sulle inadempienze di Aspi è impietoso, ma la controllata di Atlantia ribatte punto per punto. Autostrade per l’Italia, secondo la Commissione, oltre a non aver fornito al Ministero delle infrastrutture la valutazione di sicurezza sul viadotto Polcevera, ha anche adottato, per la prevenzione, “misure inappropriate” utilizzate non solo a Genova, ma normalmente applicate su tutta la rete autostradale.

Infatti, secondo la Commissione, la valutazione di sicurezza del viadotto richiesta ad Autostrade per l’Italia “non esiste, non essendo stata eseguita”. La commissione “ha ribadito la propria richiesta” il 31 agosto e “ha appreso che, contrariamente a quanto affermato nella comunicazione del 23 giugno 2017 della Società alla struttura di vigilanza, tale documento non esiste”. Ma Autostrade per l’Italia ha ribattuto che “tale documento è prescritto soltanto per infrastrutture situate nelle zone sismiche 1 e 2, mentre non è prescritto nelle zone 3 e 4 al cui interno è collocato il Ponte Morandi”. La comunicazione inviata dalla società “al Ministero il 23 giugno 2017, citata dalla relazione come addebito omissivo, aveva tutt’altro oggetto riguardando i criteri di monitoraggio e non la valutazione della sicurezza”.

Secondo le accuse del Mit, le misure preventive adottate da Autostrade sul ponte “erano inappropriate e insufficienti considerata la gravità del problema”. Aspi, secondo la Commissione, “era in grado di cogliere qualitativamente l’evoluzione temporale dei problemi di ammaloramento, ma con enormi incertezze. Tale evoluzione, ormai già da anni, restituiva un quadro preoccupante per quanto concerne la sicurezza strutturale rispetto al crollo”. Le stesse procedure, secondo la Commissione, vengono abitualmente adottate dalla controllata di Atlantia su tutta la rete: “la procedura di controllo della sicurezza strutturale delle opere d’arte documentata da Autostrade per l’Italia, basata sulle ispezioni, è stata in passato, ed è tuttora inadatta al fine di prevenire i crolli e del tutto insufficiente per la stima di sicurezza nei confronti del collasso”. Questa procedura, si legge nella nota del Ministero, “era applicata al viadotto Polcevera ed è ancora applicata all’intera rete di opere d’arte di Aspi”.

Anche su questo punto è arrivata una risposta: “sono integralmente rigettate” da Autostrade per l’Italia “le contestazioni sull’inadeguatezza delle procedure di controllo da sempre applicate, attraverso il contratto di convenzione con SPEA attivo dal 1985. Il sistema di controllo, sottoposto all’esame del Concedente ancora nel 2017, è totalmente conforme con gli obblighi di legge e non è mai stato oggetto di alcun rilievo da parte del Concedente”. In generale, l’azienda etichetta i giudizi del Ministero come “mere ipotesi”, integralmente da “verificare e da dimostrare, considerando peraltro che il comportamento della Concessionaria è stato sempre pienamente rispettoso della legge e totalmente trasparente nei confronti del Concedente”.

Il Ministero ha anche approfondito sulle cause del crollo: “si ritiene più verosimile che la causa prima non debba ricercarsi tanto nella rottura di uno o più stralli, quanto in quella di uno dei restanti elementi strutturali (travi di bordo degli impalcati tampone o impalcati a cassone) la cui sopravvivenza era condizionata dall’avanzato stato di corrosione presente negli elementi strutturali”. Autostrade per l’Italia, “pur a conoscenza di un accentuato degrado del Viadotto” Polcevera “ed in particolare delle parti orizzontali di esso che appalesavano deficit strutturali, non ha ritenuto di provvedere, come avrebbe dovuto, al loro immediato ripristino e per di più non ha adottato alcuna misura precauzionale a tutela della utenza, inattuando in sostanza il principio di coerenza nella messa in sicurezza”. Ma per Autostrade “le analisi diagnostiche erano allegate al progetto ed hanno avuto una valutazione di non pericolosità da parte di tutti i tecnici, interni ed esterni alla società, che hanno potuto realizzarle ed esaminarle. Circa la contestata scelta – contenuta nel progetto – di eseguire i lavori in costanza di traffico, la società ricorda che le modalità operative previste dal progetto approvato dal Ministero nel 2018 erano analoghe a quelle seguite negli anni 1991-1993 per interventi analoghi e mai contestate, e che queste comunque prevedevano varie fasi di chiusura del ponte al traffico. Tutto questo in assenza di elementi di urgenza e di rischio”.

Autostrade ha ribattuto anche alle accuse sulla mancata chiusura al traffico del ponte (non c’erano “le condizioni di rischio che la giustificassero”) e sulla “presunta ‘minimizzazione’ degli interventi di manutenzione”: secondo Aspi si sono spesi “circa 9 milioni di euro negli ultimi 3 anni e mezzo per aumentare la sicurezza”. La relazione della Commissione, poi, “non tiene in alcun conto gli elementi di chiarimento forniti dai tecnici della Concessionaria nel corso delle Audizioni rese su richiesta della Commissione. Inoltre i tecnici della società non hanno avuto finora la possibilità di accedere ai luoghi sottoposti a sequestro da parte della Procura di Genova e quindi di svolgere le analisi e le indagini necessarie per ipotizzare dinamiche e cause del crollo, che peraltro non vengono chiarite neanche dalla Commissione (i cui membri hanno avuto, invece, libero accesso ai luoghi)”.

Per quanto riguarda le accuse sui tempi di progettazione “dell’intervento di retrofitting troppo lunghi, alla gestazione esclusivamente interna del progetto e alla non accuratezza della programmazione dei lavori, Autostrade per l’Italia ricorda che allo sviluppo del complesso progetto hanno contribuito – oltre a SPEA – il Politecnico di Milano e la società EDIN. Nessun elemento di rischio e urgenza è emerso dai progettisti, né dalla Commissione del Provveditorato alle Opere Pubbliche che ha valutato e approvato il progetto”. Il Provveditorato, secondo la controllata di Atlantia, “aveva valutato il progetto di retrofitting ‘ben redatto e completo in ogni dettaglio'”.

E intanto avranno 60 giorni di tempo i tre periti del giudice per le indagini preliminari Giampaolo Rosati (Milano), Massimo Losa (Pisa) e Bernhard Elsener (Zurigo) per le operazioni di sopralluogo, repertazione e catalogazione dei resti dei monconi del ponte Morandi. Lo ha deciso il gip Angela Nutini al termine dell’udienza dell’incidente probatorio che si è svolta oggi. Il primo sopralluogo dei periti, insieme ai consulenti dei 20 indagati e dei familiari delle vittime, è stato fissato per il due ottobre. Al termine dei 60 giorni, i tecnici discuteranno le conclusioni della perizia in una apposita udienza fissata al 17 e al 18 dicembre.

E i tempi fissati dall’udienza saranno decisivi anche per il futuro del ponte Morandi, incidendo indirettamente sui tempi dei lavori: “salvo eventuali proroghe la demolizione potrà partire solo dopo che le prove saranno assicurate, quindi non prima di dicembre”, ha detto l’avvocato Andrea Martini, legale della famiglia Robbiano, il piccolo Samuele e i genitori morti nel crollo del ponte Morandi, alla fine dell’incidente probatorio. L’udienza è andata avanti tutta la mattina. Il giudice ha impiegato oltre un’ora e mezza solo per fare l’elenco delle persone offese e per controllare la correttezza delle notifiche. Davanti al palazzo di giustizia, in occasione dell’udienza, si sono formate lunghe code: in fila i familiari delle vittime, gli avvocati e alcuni dei 20 indagati. In aula bunker anche il provveditore Roberto Ferrazza, ex ispettore del Mit: “Sono sereno e tranquillo”, ha commentato.

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