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Istat: il comparto alimentare frena le vendite al dettaglio

Rallenta le vendita al dettaglio italiana, frenata dal comparto alimentare. E mentre grande distribuzione e E-commerce godono di ottima salute, ad essere in difficoltà sono i piccoli negozi. A giugno, secondo Istat, si sono registrate diminuzioni dello 0,2% in valore e dello 0,3% in volume per le vendite al dettaglio. “La flessione complessiva è dovuta al calo dei beni alimentari (rispettivamente -0,9% in valore e -1,0% in volume). Su base annua, almeno a livello complessivo, resta ancora il segno più, con un aumento dell’1,5% in valore e dello 0,5% in volume. Le vendite dei prodotti per la tavola crescono dell’1,9% in valore ma diminuiscono dello 0,4% in volume”, secondo l’istituto.

Escludendo il comparto alimentare infatti le vendite risultano in “lieve crescita” (+0,3% in valore e +0,2% in volume). Andamento confermato anche su base annua (+1,2%). Guardando alle singole voci, i dati in valore mostrano il segno più, in termini tendenziali, per elettrodomestici, radio, tv e registratori (+3,9%) e profumeria (+2,9%). I cali più intensi invece si registrano per il settore della cartoleria (-2,0%) e dei prodotti farmaceutici (-1,6%). Tornando al totale delle vendite al dettaglio, nei primi sei mesi dell’anno risultano pressoché piatte in valore (+0,1%) e negative in volume, ovvero al netto dell’effetto dell’inflazione (-0,3%). Le vendite al dettaglio a giugno fanno segnare un rialzo su base annua del 2,1% nella grande distribuzione, dove spicca il rialzo del 4,7% registrato dai discount dell’alimentare, mentre soffrono le imprese operanti su piccole superfici, come le botteghe e i negozi di vicinato (-0,4%). Per il commercio elettronico la crescita, sempre in termini tendenziali, è invece a doppia cifra (+14,5%).

L’intera economia italiana, intanto, continua a frenare, anche per colpa dell’export. Secondo l’Istat, infatti, l’indice sull’andamento economico continua a registrare flessioni, “segnalando il proseguimento dell’attuale fase di contenimento dei ritmi di crescita economica”. Un rallentamento c’è stato per tutta l’area euro, a differenza dell’economia statunitense. La frenata italiana è stata condizionata “dal contributo negativo della domanda estera netta”. D’altra parte “il commercio mondiale continua a crescere anche se l’introduzione di dazi all’importazione da parte dell’amministrazione statunitense rappresenta un significativo fattore di rischio al ribasso per i prossimi mesi”. Guardando alle imprese, “gli indicatori congiunturali delineano una fase moderata del ciclo economico”. Non a caso “la produzione industriale è rimasta stazionaria nel secondo trimestre, nonostante le variazioni positive dei mesi di maggio e giugno”. Quanto ai prezzi, “a luglio è proseguita la tendenza al rialzo dell’inflazione” anche se la dinamica continua “a collocarsi su ritmi inferiori alla media dell’area dell’euro”. Inoltre, si evidenzia, “le pressioni interne si confermano moderate, per effetto sia di una dinamica retributiva ancora contenuta anche se in recupero, sia delle limitate sollecitazioni provenienti dai prezzi all’importazione e da quelli alla produzione”.

L’Istat ha anche rilevato, nel medio periodo, come la crescita del tasso di occupazione italiano presenti “delle differenze per classe di età rispetto alla dinamica dei principali paesi europei”. Tra il primo trimestre del 2014 e il primo trimestre del 2018, infatti, “l’incremento del tasso di occupazione italiano è stato guidato da quello della classe 55-64 anni (8,1 punti percentuali la differenza in Italia e 7,3 nell’area euro) mentre il miglioramento nella classe 25-54 è risultato inferiore a quello dell’area euro (rispettivamente 1,1 punti e 2,8)”. In generale, secondo l’Istat, “le prospettive di miglioramento dell’occupazione per i prossimi mesi si mantengono moderate”.

Un commento ai dati Istat lo ha dato la Coldiretti, secondo la quale con i consumi stagnanti occorrerebbe scongiurare il previsto aumento dell’Iva per non cadere in una pericolosa fase di recessione. Il pericolo dell’aumento dell’Iva, per la Coldiretti, riguarda i beni di prima necessità; carne, pesce, yogurt, uova, riso, miele e zucchero con aliquota al 10% e il vino e la birra al 22%, componenti importanti nei consumi delle famiglie con la spesa alimentare, principale voce del budget dopo l’abitazione, con un importo complessivo di 244 miliardi.

Secondo l’Unione nazionale consumatori (Unc), invece, “i consumi scendono su base mensile ed il rialzo su base annua è troppo lieve e, soprattutto, è più che altro dovuto all’aumento dei prezzi. Se si confrontano i dati di oggi con quelli pre-crisi del giugno 2007, le vendite totali sono inferiori del 4%. Solo la grande distribuzione ha recuperato quanto perso durante la recessione, registrando un incremento del 6,6%”. I piccoli negozi, invece, “sono ancora ben lontani dall’aver compensato le perdite subite in questi anni difficili. Rispetto ad undici anni fa, le vendite complessive sono ancora inferiori dell’13,5%, mentre quelle alimentari segnano addirittura un crollo del 20,9%, ossia hanno lasciato sul campo oltre un quinto delle vendite”. Quanto alla produzione industriale, secondo l’Unc rispetto al 2008 “è ancora inferiore del 17,1% ed i beni di consumo durevoli hanno una voragine da colmare, un gap del 32,4%”.

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