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Il futuro degli studi legali

Nicoletta Mincato

Nicoletta Mincato

Ci sono sempre più avvocati ma guadagnano sempre meno. Cambiano gli strumenti a disposizione e le esigenze dei clienti e devono adeguarsi a una trasformazione sempre più rapida. É lo scenario che emerge dall’ultimo rapporto annuale di ricerca del Censis commissionato dalla Cassa Forense sull’Avvocatura italiana. Il rapporto evidenzia come, dal 1996 ad oggi, il numero degli iscritti all’Albo sia costantemente aumentato, e, parallelamente, nello stesso periodo si sia verificata una costante contrazione dei redditi degli avvocati. Rispetto al 1996, quindi, in Italia ci sono oggi molti più avvocati (oltre 242 mila), con un aumento notevole delle donne, ma il loro reddito medio è sceso sensibilmente rispetto a 20 anni fa, attestandosi a circa 38.400 euro. Tuttavia, il tasso di crescita degli avvocati negli ultimi tre anni è sensibilmente rallentato rispetto al passato (segnale della perdita di appeal della professione forense tra le nuove generazioni?).

Comunque, il numero degli avvocati è cresciuto in percentuale più della popolazione italiana e quindi oggi in Italia si contano, come media nazionale, 4 avvocati ogni 1000 abitanti. Gli avvocati italiani sono, inoltre, sempre più anziani, con una età media che oggi sfiora i 45 anni, contro una età media di poco superiore ai 42 anni solo nel 2002. La categoria degli avvocati, come la popolazione italiana, sta dunque progressivamente invecchiando. Il rapporto si è soffermato anche sulla misurazione del grado di soddisfazione degli avvocati (espresso in termini di coerenza con le proprie aspettative al momento della scelta di intraprendere gli studi giuridici). Nel complesso, emerge un diffuso senso di insoddisfazione. Infatti, il 71% degli avvocati dichiara che la propria condizione attuale è mediamente (44%) o molto (27%) al di sotto delle aspettative. Coloro che le ritengono confermate (24%) o superate (5%) costituiscono, invece, solo il 29% del campione degli intervistati.
I dati del rapporto Censis, che delineano una situazione di certo più opaca rispetto al passato, e già di per sé significativi, inducono ad una riflessione ancor più seria, se possibile, considerando che nei prossimi 10/20 anni l’Avvocatura, in Italia come nel mondo, sarà chiamata a rispondere a sfide che non potranno essere evitate o rinviate e dovrà trovare da subito la forza e la lucidità per guardare al proprio futuro.
Perché, se è vero che l’avvocato esercita una vera e propria funzione sociale, non solo nell’interesse delle parti assistite, ma anche dei terzi e della collettività (come costantemente afferma la giurisprudenza italiana in materia deontologica), è altrettanto vero che è la società stessa a essere soggetta a profondi cambiamenti. Dunque, prima ancora che gli avvocati, saranno i loro clienti a evolversi. Una strada di cambiamento che, per prime, le imprese hanno già imboccato.

L’informazione scorre attraverso tutto, le persone viaggiano ovunque, velocemente e senza particolari formalità, la conoscenza, bene prezioso, in passato quasi monopolistico, diventa più disponibile. Il mondo, che era già ‘piatto’ (secondo la brillante metafora di Thomas Friedman), ora può dirsi ‘trasversale’ cioè inter-regolato, trasparente e iper-connesso. Tutto è mobile e fluido: non più proprietà ma uso, non più pagine ma flussi, non più funzioni ma percorsi. Siamo alla ‘società liquida’ di cui teorizza Zygmunt Bauman. La rivoluzione, già avviata, è insieme sociale e tecnologica. Oggi i singoli avvocati, e la categoria professionale italiana nel suo insieme, sono chiamati a misurarsi con trasformazioni del mondo che raggiungono tutti più velocemente che in passato. Abbracciare il nuovo mondo richiede agilità e capacità di essere innovativi. L’Avvocatura italiana, progressivamente invecchiata e sempre più insoddisfatta, ne è cosciente? Segnali vengono dalle realtà professionali più strutturate ed orientate alla assistenza alle imprese.

Senz’altro, tra i primi a porre all’attenzione generale il tema è stata l’Associazione Studi Legali Associati (Asla). L’evento ‘Diritto al futuro’ organizzato dall’Asla a Milano lo scorso maggio, è stato il primo in Italia dedicato alla prossima generazione di avvocati e all’innovazione nel mondo della professione legale. I lavori si sono articolati in una serie di conferenze, workshop e lezioni nelle quali esperti, studiosi, professionisti ed esponenti di spicco del panorama economico, sociale, culturale, artistico e sportivo, nazionale e internazionale, hanno discusso e si sono confrontati sui grandi temi dell’innovazione e sulla professione del domani. In seno all’evento, grande risalto hanno avuto le tesi di Richard Susskind, professore di diritto a Oxford e autore di numerosi testi in materia di innovazione della professione legale. Richard Susskind, nel suo recente volume Tomorrow’s Lawyers, sostiene che il futuro della professione legale non coinciderà con l’immagine letteraria dell’avvocato e che i prossimi strumenti non saranno più le toghe, i palazzi di giustizia, i tomi rilegati in pelle o il gergo legale arcano. Non lo sarà nemmeno l’attuale modello dominante di professione legale. Per soddisfare le esigenze dei clienti, gli avvocati del futuro dovranno rinunciare a gran parte della loro attuale prassi operativa e reinventare il modo in cui vengono forniti i servizi legali.

E questo per la combinazione delle spinte impresse da tre forze di cambiamento: la richiesta di avere maggiore e migliore assistenza legale a prezzi più bassi (complice il credit crunch di questi anni, che ha innescato una tendenza al ribasso); i processi di liberalizzazione, che aumentano la concorrenza anche nel settore professionale; infine, ma non per ultimi, i progressi della information technology.
Un’attenzione particolare deve essere prestata, in prospettiva, all’impatto delle nuove tecnologie sulla professione. Molte di queste nuove tecnologie innovative avranno un effetto dirompente. Ciò significa che non sosterranno i tradizionali modi di lavorare, ma fondamentalmente sfideranno e cambieranno i processi di lavoro. In pochi anni usciranno dalla fase di sperimentazione (già attiva anche in Italia) e si diffonderanno tecnologie come la document automation (che consente, attraverso la compilazione di moduli informatici di generare automaticamente la prima bozza di contratti), la document analysis (che consente di esaminare in modo automatizzato grandi volumi di documenti e isolarne quelli di rilevanza oppure di riassumere o estrarre disposizioni chiave dai contratti analizzati), l’intelligenza artificiale declinata in ambito legale per rendere più efficiente il processo di ricerca giuridica (attraverso interfacce che consentono di porre le domande di ricerca e ottenere risposte strutturate come se si interagisse con un altro avvocato) e la machine prediction (sistemi che analizzando una banca dati giurisprudenziale consentono di prevedere le decisioni giudiziarie in casi analoghi).

Ma la tecnologia inizia ad avere effetti anche direttamente sulla costruzione delle relazioni tra avvocato e cliente. Sono già attive in Italia piattaforme di beauty contest digitale per servizi legali, che consentono l’incontro di domanda e offerta attraverso una procedura competitiva online (e la prossima evoluzione prevista è quella dei sistemi di reputazione online, già attivi in Gran Bretagna). Così come anche in Italia è già possibile accedere, tramite apposite piattaforme digitali, ad un’assistenza legale gestita a distanza, con output e costi evidentemente diversi da quelli dell’offerta tradizionale.

Quindi, se la rivoluzione tecnologica è già qui, qual è il futuro per gli avvocati? La sfida non è solo quella di informatizzare le pratiche lavorative correnti che non sono più efficienti. La sfida è governare l’innovazione: praticare la professione legale, alleandosi alla nuova tecnologia, in modi che non sarebbe stato possibile fare nel passato. La chiave del futuro successo sarà la capacità di reinventare la pratica abituale della professione legale. Per gli avvocati del futuro (siano essi nuovi avvocati o gli odierni professionisti proiettati tra 10 anni) essere in grado di utilizzare e gestire sistemi informatici sofisticati e muoversi agilmente nel processo telematico sono competenze che diventeranno sempre più preziose. Ma non basta. L’apprendimento di abilità estranee al diritto sarà un attributo cruciale per chiunque voglia entrare, o restare, nel futuro scenario della professione legale. Per essere orientati a organizzare sempre più le prestazioni in base alle necessità del cliente, gli avvocati avranno maggiore bisogno di competenze ‘laterali’ rispetto a quelle giuridiche, declinate sia in senso multidisciplinare (per diventare anche un po’ aziendalista ed economista e affiancare meglio i processi decisionali dei clienti) sia nei così detti soft skills (lo sviluppo di capacità decisionali, la comunicazione, l’interazione sociale e l’intelligenza emotiva, etc.).

È inevitabile, in questo quadro, che anche le Università si rendano sensibili alle nuove prospettive e aggiornino la propria offerta formativa per mettere gli studenti nelle condizioni di poter operare al meglio nella professione del futuro. La naturale evoluzione: accentuare l’insegnamento in chiave di formazione di competenze piuttosto che di trasmissione di nozioni. Ad esempio, gettando lo sguardo nel cortile dei nostri vicini, in Francia oltre a rivedere i programmi di insegnamento accademico, il dibattito si è focalizzato anche sull’attivazione, presso le facoltà di giurisprudenza, di cliniques juridiques. Con il plurimo obiettivo di offrire agli studenti la possibilità di mettere in pratica le nozioni teoriche apprese e di affrontare casi giuridici reali; chiarire agli studenti la percezione del ruolo dell’avvocato e, allo stesso tempo, di offrire ai cittadini più bisognosi un’assistenza legale preliminare gratuita, per capire meglio le loro esigenze e per essere più efficacemente indirizzati a un professionista adatto.

Anche la recente riforma forense italiana sta tracciando, in effetti, un primo percorso in questa direzione, promuovendo la cooperazione tra Università e Avvocatura con la possibilità di svolgere il tirocinio professionale in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea. È questo il momento per l’Avvocatura italiana di trovare progettualità e concrete proposte in chiave riformista ed effettivamente moderna della professione, nella traccia della recente revisione della legge professionale. È ormai chiaro che la professione legale non ha mai dovuto confrontarsi con così tanti cambiamenti, profondi e simultanei, come nei nostri tempi. Ha sicuramente sperimentato in passato rivoluzioni tecniche e tecnologiche, crisi politiche importanti e due guerre mondiali. Ma gli eventi degli ultimi 100 anni, in fondo, solo moderatamente hanno influito sullaww struttura della professione, che è rimasta sostanzialmente uguale a sé stessa.

Invece, l’Avvocatura affronta oggi la somma di tutte le sfide: crisi economica, impoverimento di parte dei suoi componenti, competizione globale, intelligenza artificiale, spinte a trasformarsi da prestazione intellettuale a prestazione di servizi. È quindi verso la gestione del cambiamento che sarà chiamata a concentrare i propri sforzi e ad inventare il proprio futuro (per usare le parole di Susskind). Identificazione di nuovi modelli di business, nuovi modi di organizzare il lavoro individuale o di squadra (per le strutture più grandi), estensione delle competenze, investimenti in tecnologia, ridefinizione dei rapporti con i clienti, diventano opportunità che se adeguatamente preparate e tempestivamente colte daranno all’Avvocatura la possibilità di accompagnare la trasformazione del bisogno giuridico della società e non di subirla. Nel percorrere la delicata transizione dal mondo professionale di ieri a quello di domani, sarà centrale anche il contributo che sapranno offrire gli organi rappresentativi della categoria. Al contrario, una professione a cui non interessa il proprio futuro (o che non è sollecitata a interessarsene), che non parla con voce unita, diventa fragile.

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