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Frutta, pesce e vino: ecco la ‘pelle’ del futuro

Il mercato degli articoli di pelle non conosce crisi. Negli ultimi tre anni è cresciuto costantemente, alimentato soprattutto dalla domanda proveniente dalla Cina. I millennials amano gli articoli in pelle: nel 2015 il mercato globale di borse, scarpe e altri accessori è arrivato a valere 43 miliardi di dollari, secondo la Bain & Company. I giovani cinesi, molto più ricchi della generazione che li ha preceduti, comprano prodotti in pelle di alta manifattura: nel 2016 le importazioni della Cina di prodotti lavorati in pelle hanno superato per la prima volta quelli della pelle grezza; si stima che per soddisfare la domanda globale di accessori in cuoio, da qui al 2015 si arriverà a macellare circa 430 milioni di mucche all’anno.

Il Made in Italy è uno dei mercati più apprezzati: secondo l’Istat, le esportazioni nel 2017 hanno segnato un aumento del 14,1% rispetto all’anno precedente. La grande domanda di accessori in pelle di alta qualità e la complessità (e il costo) per la produzione, stanno spingendo startup, aziende e designer a cercare alternative più sostenibili della pelle di mucche e vitelli (per alcuni anche più etiche: in realtà, almeno per quanto riguarda l’Italia, secondo i dati dell’Unic – Unione delle concerie italiane – il 99,5% della pelle italiana conciata deriva dagli scarti alimentari e quindi ha un’impronta circolare).

L’azienda che sta alzando l’asticella del mercato della pelle di lusso è la Atlantic Leather, una società islandese basata a Sauðárkrókur. Dal fiordo islandese, la società produce un particolare ‘tessuto’ fatto di pelle di pesce. Il designer Boas Kristjánsson ha già creato una collezione che è stata presentata all’ultima settimana della moda di Parigi: ma l’Atlantic Leather fornisce già la pelle di pesce ad alcuni dei più importanti brand di lusso, da Prada a Louis Vuitton, per la produzione di scarpe, borse e abiti. Sul sito dell’azienda vengono descritte le caratteristiche delle varie pelli lavorate (vengono usati il salmone, il pesce persico o il merluzzo) e del lungo processo di produzione.

Anche la frutta sembra essere fonte di ispirazione per realizzare la “pelle” del futuro. La startup Ananas Anam, fondata da Carmen Hijosa, trasforma gli scarti degli ananas in un tessuto molto simile alla pelle con cui si possono realizzare scarpe o borse: il Piñatex. Hijosa ha sviluppato il Piñatex in seguito a svariati anni di ricerche e ad un PhD che l’imprenditrice ha acquisito al Royal College of Art di Londra, quando era già cinquantenne. Hijosa ha poi lavorato a stretto contatto con gli agricoltori di ananas nelle Filippine, mostrando loro come potessero ricavare un guadagno extra dal riutilizzo degli scarti della raccolta, cioè dalle foglie degli ananas, che si possono trasformare in una fibra e poi nel nuovo Piñatex. La Ananas Anam ha sviluppato un macchinario che estrae le fibre dalle foglie per trasformarle in un tessuto che ricorda la cosiddetta ecopelle comunemente usata per vari accessori e rivestimenti (e che è prodotta con materiali plastici e derivati dal petrolio).

A Rotterdam, poi, c’è FruitLeather, un progetto per trasformare gli scarti della frutta – quindi le bucce di albicocche, mele e arance – in un tessuto resistente dall’aspetto simile alla pelle: i suoi ideatori sono due ex studenti della Willem de Kooning Academy. L’obiettivo dei due designer era quello di trovare un sistema per riciclare le grandi quantità di cibo che vengono sprecate nell’industria alimentare e contemporaneamente creare un prodotto attraente spendibile nel settore della moda e dell’arredamento.

Italiana è invece la startup Vegea srl (di cui vi avevamo parlato qui: https://fortuneita.com/10-startup-che-stanno-cambiando-il-mondo-della-moda/) che ha sviluppato un altro tessuto che si candida come sostituto della pelle animale, pur essendo totalmente vegetale: il Vegeatextile, prodotto dagli scarti della produzione del vino. Il progetto ha ricevuto nel 2017 il Global Change Award della Fondazione di H&M dedicata all’innovazione nel mondo della moda.

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