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I ‘compiti’ del Fmi: giù il debito e più donne al lavoro

Giù il debito e più donne al lavoro. Il Fondo Monetario Internazionale, come da prassi, indica le direttrici su cui dovrebbe muoversi la politica economica italiana. In una fase come questa, con un governo che deve ancora nascere, l’agenda è particolarmente significativa. La ”priorita’ per l’Italia dovrebbe essere l’avvio di un risanamento di bilancio credibile e ambizioso per incanalare il debito in una traiettoria di calo”, mettono nero su bianco gli economisti di Washington, convinti che l’obiettivo possa essere raggiunto attraverso percorsi diversi: “può aumentare le spese in conto capitale, spostare la tassazione verso i ricchi e le proprietà e ampliare la base imponibile”.

Altra indicazione chiara per il mercato del lavoro. ”Nelle economie avanzate alle prese con l’invecchiamento della popolazione (Germania, Italia e Giappone), la spesa pubblica dovrebbe puntare ad ampliare la forza lavoro aumentando l’accesso alla formazione e aumentando la partecipazione femminile”. Questo, considerando che ”gli sforzi in corso in Italia per ridurre l’attuale spesa (inclusa l’elevata spesa pensionistica) potrebbero creare spazi per misure pro-crescita e inclusive”

I ‘compiti’ per l’Italia vanno letti in un contesto in cui i rischi per la stabilita’ finanziaria e la crescita economica nel breve e medio termine sono aumentati: ”con le banche centrali che continuano a normalizzare la loro politica monetaria, le debolezze finanziarie lasciano intravedere una strada piena di insidie”, che potrebbe mettere in pericolo la crescita. L’Fmi invita quindi ”investitori e politici” a prendere consapevolezza dei rischi associati all’aumento dei tassi di interesse dopo anni di basso costo del denaro e bassa volatilità.

Un monito arriva anche verso il sistema bancario. Le banche hanno rafforzato i loro bilanci ma “gli sforzi devono continuare”. Soprattutto in Europa dove sono concentrate le banche più deboli, quelle con il maggior numero di non performing loan. Le azioni delle autorità europee hanno contribuito a far ridurre lo stock di npl, che comunque restano – si evince dalle tabelle del Fmi – sopra gli 800 miliardi di euro e concentrati soprattutto in Irlanda, Italia e Spagna.

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