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Digitale terrestre, il grande intrigo delle nuove frequenze

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Alle soglie del 5G, con la gara per le frequenze che si è appena conclusa con un incasso record di 6,55 miliardi di euro, l’Italia è ancora alle prese con il caos provocato dalla gestione del passaggio dall’analogico al digitale. Con il risultato che il nuovo piano delle frequenze tv definito la scorsa estate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) potrebbe presto tornare in discussione. A rendere precari i criteri di assegnazione delineati dall’Agcom sono una serie di ricorsi che contestano vecchie e nuove regole per l’assegnazione delle frequenze. Con due sentenze pubblicate ieri il Consiglio di Stato ha azzerato l’annullamento del beauty contest deciso nel 2012 dal governo Monti e ha riconosciuto che nel passaggio dall’analogico al digitale Rai e Mediaset ebbero un trattamento di favore, perché poterono mantenere le frequenze destinate a Rai Tre e Rete 4, travalicando (come sottolineato anche dalla Corte di Giustizie Ue) i tetti di concentrazione italiani. A presentare ricorso erano state Persidera (controllata al 70% da Tim e al 30% da Gedi) da un lato, e la società Europa Way dell’editore romano Francesco Di Stefano dall’altro, che chiedevano l’annullamento della gara con cui nel 2012, dopo l’azzeramento del beauty contest, vennero assegnate le frequenze per il digitale terrestre.

L’anno scorso la Corte di Giustizia Ue, con due sentenze, aveva dato ragione a Europa Way e Persidera, riconoscendo che il sistema di attribuzione delle frequenza italiano aveva violato il diritto comunitario e che i criteri adottati per il passaggio al digitale avevano svantaggiato le due società. Il Consiglio di Stato doveva stabilire se agli operatori preesistenti (Rai e Mediset) era stato attribuito un numero di radiofrequenze superiore a quello necessario alla continuità dei loro programmi, con una disparità di trattamento verso Persidera e Europa Way e, in questo caso, valutare se quello era l’unico modo possibile per perseguire obiettivi legittimi di interesse generale. Come detto, i giudici hanno accolto i ricorsi di Persidera e Europa Way, dichiarando illegittimo l’annullamento del beauty contest perché all’epoca il ministero dello Sviluppo economico travalicò le sue competenze ledendo l’autonomia dell’Agcom. Tuttavia, proprio in nome dell’autonomia dell’Autorità guidata da Angelo Marcello Cardani, il Consiglio di Stato ha rimesso alla stessa Agcom la scelta (da effettuare “in modo sollecito”) se confermare comunque la gara onerosa per le frequenze del 2012 oppure annullarla, ripristinare il beauty contest e riassegnare oggi per allora le frequenze che Europa Way e Persidera rivendicano. “La decisione è formalmente positiva. Nella sostanza però potrebbe portare a un nulla di fatto”, commenta l’avvocato Fabio Ferraro, che assiste Europa Way. Nel corso del giudizio sia l’Agcom che il Mise si erano pronunciati per il mantenimento dell’attuale assetto dell’etere.

Potrebbe avere invece effetti assai più incisivi l’altra sentenza, non definitiva, emessa dal Consiglio di Stato su un altro ricorso con cui Persidera contestava una disparità di trattamento, avendo ottenuto un solo multiplex (a fronte delle due reti che aveva con l’analogico) rispetto ai due assegnati a Rai e Mediaset. I giudici hanno negato alla società sia il multiplex aggiuntivo, sia il risarcimento del danno. Hanno tuttavia riconosciuto che nel 2012 Rai e Mediaset ebbero un trattamento di favore perché poterono mantenere anche le frequenze aggiuntive per Rai Tre e Rete 4. Per questo hanno annullato le delibere Agcom che nel 2009 e nel 2010 cristallizzarono questa situazione di fatto. I giudici – come indicato dall’Autorità, che aveva evidenziato le potenziali ricadute negative sul refarming della banda 700 MHz oggetto della gara per il 5G e sul passaggio dalla tecnologia di trasmissione DBV-T1 a quella DVB-T2 – hanno tuttavia ritenuto non opportuno annullare anche tutte le successive delibere dell’Autorità in materia di pianificazione delle frequenze, per evitare – recita la sentenza – di “alterare gravemente l’intero assetto del mercato audiovisivo, con un effetto dirompente anche per tutti gli operatori economici in esso coinvolti”.

Il Consiglio di Stato ha comunque chiesto all’Agcom e al Mise di intervenire tempestivamente per eliminare lo squilibrio di partenza (la “mancata considerazione del carattere storicamente ‘eccedente’ di alcune delle risorse analogiche di partenza di Rai e Elettronica Industriale [Rai 3 e Rete 4]”, scrivono i giudici ) nell’assegnazione delle frequenze previste dal nuovo Pnaf (Piano nazionale di assegnazione delle frequenze), che costituisce la base della gara per il 5G appena conclusa, riservandosi di tornare sulla questione in caso di inerzia. Ma ad alimentare l’incertezza sul Pnaf 2018 ci sono anche i ricorsi dei principali attori del settore: Mediaset, Cairo Network, Prima tv dell’imprenditore franco-tunisino Tarak Ben Ammar e, da ultimo, anche la Rai. Al centro della contesa c’è la necessità per le tv nazionali di abbandonare entro quattro anni la banda 700 MHz oggetto della gara per il 5G per fare spazio alle telco. Con la liberazione della banda tutto il sistema del digitale terrestre italiano, che oggi viaggia su 30 frequenze, dovrà restringersi in metà spazio, 15 frequenze: 10 nazionali in bada Uhf (ultra high frequency), 4 locali in banda Uhf e una su base regionale destinata alle tv locali e all’informazione regionale di Rai3. La riduzione di banda disponibile dovrebbe essere ammortizzata dall’introduzione di nuove tecnologie di trasmissione come il DVB-T2 in grado di comprimere di un terzo i segnali tv digitali rispetto all’attuale DVB-T1. Ma secondo le tv che hanno fatto ricorso – tra cui figura anche un’altra emittente nazionale, ReteCapri, che chiede un risarcimento di almeno 31 milioni, più una serie di emittenti locali, anch’esse in fila per reclamare i danni – questo non basta. Perché il passaggio dal T1 al T2 comporterà dei costi ulteriori (rispetto a quelli già preventivati dal ministero dello Sviluppo economico) per adeguare la tecnologia e, soprattutto, le nuove concessioni rimpiazzeranno le frequenze con qualcosa che le emittenti coinvolte ritengono assai meno palpabile e le tower company – come Ei Towers (Mediaset), Rai Way (Rai), Cairo Network, DFree (Prima Tv), Persidera (Gedi-TIM) – commercializzabile: la capacità di trasmissione.

“Le tv non contestano il fatto che si debba liberare la banda e assegnarla ai telefonici”, spiega una fonte legale, “quello che contestano sono le modalità e i tempi con cui l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e il ministero hanno stabilito che vada fatto”. Il primo nodo è l’oggetto delle nuove concessioni. Nel nuovo assetto dell’etere, visto che lo spazio si dimezza e che le frequenze non si possono suddividere, si è pensato bene di cambiare i termini giuridici delle concessioni: alle tv non si assegnano più frequenze ma, come detto, capacità di trasmissione. Risultato: chi come Cairo Network, Prima Tv e ReteCapri oggi ha una sola frequenza si troverà in mano qualcosa di meno rispetto al passato. “Lo spettro radiofonico”, spiega un’altra fonte, che chiede di restare anonima, “è un concetto neutro, sono gli investimenti in tecnologie delle tv che producono la capacità di trasmissione. In passato venivano concesse delle frequenze, qualcosa che appartiene allo Stato, ma oggi? Ci troviamo davanti al paradosso che le tv che hanno speso in tecnologia per essere in grado di trasmettere si vedono riassegnare dallo Stato qualcosa che già posseggono, perché è stato prodotto da loro: la capacità di trasmissione. Chi ha fatto ricorso vuole le frequenze, non un loro surrogato”.

In concreto ci sarà infatti chi avrà dei multiplex (frequenze) da solo, e chi in condivisione, perché la tecnologia T2 non è sufficiente a comprimere nella metà dello spazio i vecchi multiplex. Servirebbe quindi trovare altre frequenze da destinare alle emittenti nazionali. “Alcune delle società ricorrenti”, prosegue la fonte, “propongono di liberare spazio intervenendo sulla riserva del 30% delle frequenze alle tv locali oggi prevista dalla legge e sulle frequenze inutilizzate. Molte emittenti locali mantengono la titolarità delle frequenze solo in attesa di una loro futura valorizzazione”. Intervenendo in questo modo si potrebbero ridurre dalle attuali 5 a tre o due le frequenze per le locali, liberando così altro spazio per quelle nazionali. Al riguardo pochi giorni fa, in audizione alla Camera lo stesso presidente dell’Agcom Angelo Marcello Cardani ha ricordato che l’Autorità ritiene da tempo non più attuabile il vincolo della riserva di un terzo delle frequenze alle emittenti locali. La legge di bilancio varata lo scorso anno dal governo Gentiloni prevede già dei fondi destinati alla rottamazione delle frequenze locali. Quella finanziaria ha previsto in 700 milioni la spesa complessiva per il passaggio al T2, così suddivisa: 200 milioni alle tv nazionali per i costi di trasformazione e aggiornamento degli impianti, oltre 300 milioni per gli incentivi alla rottamazione delle frequenze locali, 100 milioni per agevolare l’acquisto di decoder per i televisori di vecchia generazione, 60 milioni al Mise per gestire la transizione.

Proprio questi numeri hanno indotto anche la Rai a presentare ricorso contro il nuovo piano di assegnazione delle frequenze e a battere cassa. Viale Mazzini ritiene che le capacità trasmissive riservate dal Pnaf 2018 alle sue emittenti non garantiscono la ricezione di Rai1, Rai2 e Rai3 in tutto il territorio nazionale. La Rai contesta, in particolare, la parte del piano del governo Gentiloni, confermato dall’esecutivo gialloverde, secondo cui la Rai dovrebbe scendere dagli attuali 5 multiplex – in grado di trasportare 7 canali normali oppure 4 in alta definizione – a 2 e mezzo. Uno dei quali (il multiplex 1) dovrebbe essere riservato in parte a Rai3 e per il resto, a partire dal 2020, a trasportare emittenti locali. Un progetto in teoria conveniente per Rai Way, la società che detiene i multiplex che in questo modo vedrebbe ampliarsi il proprio mercato. Ma c’è un’incognita: la capacità trasmissiva necessaria a trasportare le locali è stata allocata nella banda Vhf, che non viene captata da tutte le antenne. Secondo alcune stime per portare questi canali in tutte le case la Rai dovrebbe sobbarcarsi una spesa ulteriore di 300 milioni aggiuntivi rispetto a quelli già previsti per la rottamazione delle frequenze.

Perplessità condivise in parte anche dalle emittenti nazionali le quali ritengono che le spese per l’adeguamento tecnologico al T2 siano sottostimate e spingono perché il governo riservi loro parte del maxi-incasso del 5G. Su questo e sugli altri fronti aperti dal nuovo piano di assegnazione delle frequenze la palla passa adesso al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, che ha già fissato la road map per lo switch off dal T1 al T2, ricalcandola sullo schema di decreto abbozzato lo scorso aprile dal predecessore Calenda prevedeva un passaggio graduale che avrebbe dovuto concludersi entro il 30 giugno 2022. Peccato che quello schema di decreto fosse già stato stato impugnato da Cairo Network. Visto anche il successo dell’asta per il 5G, sono in molti a scommettere che per evitare l’incertezza legata ai contenziosi, (“ed eventuali ricadute materiali sulle frequenze destinate al 5G”, sottolinea una fonte. “come ritardi nella liberazione della banda”) alla fine il Mise si convincerà a concedere ulteriori finanziamenti, a limitare la quota di frequenze per le emittenti locali e a rivedere la tabella di marcia prevista dalla road map.

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