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Club of Rome: salvare il mondo è ancora possibile

Salvare il pianeta è ancora possibile, ma per farlo il mondo deve cambiare rotta, e lo deve fare subito. Il messaggio arriva dalla due giorni di conferenze organizzata dal Club of Rome, in occasione del suo 50esimo compleanno. Il primo think thank mondiale sullo sviluppo sostenibile, fondato da Aurelio Peccei e dall’allora direttore scientifico dell’Ocse Alexander King, predica da mezzo secolo il bisogno di modelli economici alternativi al paradigma della crescita infinita.

E i dati del suo ultimo rapporto, “Come on!”, testimoniano come un cambiamento non sia solo necessario, ma urgente – se non fosse bastato l’allarme lanciato dalle Nazioni Unite sulle conseguenze che avrà il riscaldamento globale tra una decina d’anni. Nel rapporto del Club of Rome si legge come sia necessario abbassare le emissioni di anidride carbonica del 6,2% l’anno, per non arrivare a un aumento di due gradi della temperature globali. Per non oltrepassare la soglia di 1,5 gradi, il taglio dovrà essere del 10% l’anno. Proiezioni che possono sembrare irrealizzabili, visto che nel 2017 le emissioni sono tornate a crescere dopo tre anni di stallo, segnando un +1,4%. E tra 2000 e 2013 sono diminuite, in media, dello 0,9 %.

Una buona notizia, secondo il rapporto, è lo schieramento a favore dell’Accordo di Parigi di tanti attori chiave – istituzioni finanziarie, regioni, città, imprese – con più di mille città nel mondo che si sono impegnate a utilizzare il 100% di energia rinnovabile. La cattiva notizia è che il riscaldamento globale continua a crescere: 2014, 2015 e 2016 hanno via via aggiornato il record di ‘anno più caldo’, una escalation senza precedenti. Il rapporto procede nel fotografare gli argomenti più urgenti di cui occuparsi: dall’aumento demografico (+117% in 50 anni) e delle megalopoli (dalle tre del 1968 alle 22 attuali), alla scarsezza di fondi governativi stanziati per la riduzione di gas serra (100 miliardi di incentivi globali, contro i 600 messi a disposizione per le fonti fossili). La correlazione tra emissioni e modello economico può essere rappresentata da un dato emblematico: i tre milioni di americani più benestanti producono 318 tonnellate a testa di CO2, quando la media mondiale pro capite è di appena sei tonnellate. Le case dei ricchi del mondo, ovvero il 10% della popolazione, contribuiscono al 45% delle emissioni totali.

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Ad arricchire i contenuti del rapporto, gli esperti internazionali riuniti per la conferenza. Presenti, tra gli altri, il presidente internazionale del WWF Pavan Sukhdev, l’attivista sudafricana Mamphela Ramphele, il teorizzatore della blue economy Gunter Pauli, l’advisor delle Nazioni Unite Johan Rockstrom. E poi gli ospiti italiani: Catia Bastioli, Ad di Novamont, il numero uno di Enel Francesco Starace, il Ministro dell’ambiente Sergio Costa, il viceministro all’istruzione Lorenzo Fioramonti e il Sindaco di Roma, Virginia Raggi.

Filo comune di molti degli interventi, l’esigenza di un nuovo modello economico. Nonostante i rapporti come quelli del Club of Rome, ha detto Virginia Raggi, “continuiamo ad autodistruggerci, a consumare più di quanto il pianeta possa offrire. Ma grazie ad attività come quella del Club of Rome, abbiamo una visione più ampia sul tema”. Altrettanto fondamentale è la capacità dei Governi di “apprendere e agire” di conseguenza, così come devono fare anche i cittadini, perché qualsiasi nuova politica “non può avere effetto se i cittadini per primi non la mettono in pratica”.

Secondo il Ministro dell’ambiente Costa, “chi fa economia non deve pensare alla massimizzazione del profitto, a ottenere il massimo ad ogni costo, quanto al ‘giusto guadagno’”, un modello che “tiene in considerazione più aspetti”, si coniuga con le tematiche ambientali, e ha il “potere di attrarre investimenti”, rendendolo eventualmente “indipendente” da aiuti statali. Con questa legislatura, con “l’economia circolare formalmente incardinata nelle competenze del Ministero dell’ambiente”, secondo Costa, “si è capito che l’economia che guarda al futuro del pianeta passa dall’ambiente”. L’economia circolare va applicata seguendo il principio della “prossimità ambientale: ogni territorio deve essere l’artefice” di tutto il ciclo economico: “attraverso questa responsabilizzazione si arriva alla trasparenza del processo”. Nella Cop 24 di Katowice, in Polonia, quando il mondo si riunirà per discutere dei cambiamenti climatici, Costa chiederà “che si aumenti l’ambizione sui target ambientali”, rispettando “le regole comuni tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo”.

L’intervento di Catia Bastioli, Ad di Novamont, si è concentrato sulla “bioeconomia, un elemento chiave per la rigenerazione dei territori”, se unita al concetto dell’economia circolare. “L’idea è riuscire a utilizzare le materie locali e l’innovazione, passando dai siti industriali e dal lavoro delle coltivazioni. Bisogna lavorare su quei prodotti che oggi arrivano negli stream liquidi e solidi dei rifiuti”. Recuperarli “ci permetterebbe di utilizzare tutto il carbonio che viene dal ciclo dei rifiuti organici per rimetterlo nei suoli e risolvere quindi un grave problema, ovvero la fertilità dei suoli, che oggi sono profondamente desertificati, inquinati ed erosi, e noi dobbiamo intervenire subito”, perché si tratta di “un problema grande tanto quanto la decarbonizzazione, e correlato ad essa”. L’economia circolare comporta poi una conseguenza “sociale: le comunità si possono riaggregare intorno a progetti di bioeconomia locale”. A livello normativo sono importanti i “target: devono essere ambiziosi ma non devono creare barriere, non si deve escludere nessuno dal processo della bioeconomia”.

Nel secondo giorno di conferenze è intervenuto anche l’Ad di Enel, Francesco Starace, secondo il quale il mercato energetico sta cambiando, e l’energia rinnovabile, “una volta considerata alternativa, diventerà la fonte d’energia principale”. Una grande spinta la darà “la tecnologia, il cui costo sta calando”, come quello dei materiali per crearla, “contribuendo ad abbassare il costo delle rinnovabili e dell’elettricità” e ad aumentare il numero di nuove infrastrutture, raggiungendo grazie all’efficientamento “performance impensabili fino a qualche anno fa”. Per Starace questo sarà “l’anno dell’elettrificazione, il mondo viene ‘elettrificato’ al doppio della velocità rispetto a prima”, un processo che contribuirà ad accelerare la decarbonizzazione. Questo, secondo Starace, “non vuol dire che le cose vadano totalmente bene, c’è ancora un enorme quantità di fondi buttata in combustibili fossili, ma per me c’è speranza per un mondo elettrificato”.

 

 

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