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Pupi Avati: “Il nostro cinema è un orticello italiano”

Filippo Scotti in "L'orto americano" di Pupi Avati.
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Velasco25 Articolo

Intervista a Pupi Avati, decano della settima arte, nelle sale con il suo ultimo film, il thriller gotico ‘L’orto americano’. “Il nepotismo affligge questo settore, che è un paesello in cui girano sempre le stesse persone. Chi ha le amicizie giuste lavora, ci dovrebbe essere più meritocrazia”.

Da circa due mesi è uscito nelle sale ‘L’orto americano’, l’ultimo film di Pupi Avati, il 55esimo della sua carriera. Un film di genere, un thriller gotico a maniera, con la struttura tipica di un’opera classica, resa ancora più  intensa dall’uso del bianco e nero fortemente espressivo.

Pupi Avati riceverà il Premio alla Carriera nel corso della 70ª edizione dei Premi David di Donatello, riconoscimento sarà assegnato mercoledì 7 maggio nell’ambito della cerimonia di premiazione in diretta, in prima serata su Rai 1, dagli studi di Cinecittà e trasmessa in 4K (sul canale Rai4K, numero 210 di Tivùsat). La conduzione dell’edizione 2025 è affidata a Elena Sofia Ricci e Mika. La serata sarà in diretta anche su Rai Radio2 – con la conduzione di Carolina Di Domenico – e sarà disponibile sulla piattaforma di RaiPlay.

Pupi Avati

Tratto dal suo omonimo libro, ‘L’orto americano’ è interpretato dal poco più che esordiente Filippo Scotti, giovane attore scoperto da Paolo Sorrentino in ‘È stata la mano di Dio’.

In un momento di grande agitazione e cambiamenti all’interno del cinema italiano, con le strette su Tax Credit e il blocco dei finanziamenti a pioggia disposte dal governo Meloni dopo continui scandali su fondi elargiti con troppa facilità, Pupi Avati fa sentire la sua voce. Una voce autorevole e lucidissima dall’alto dei suoi 86 anni vissuti tra Bologna, Roma e soprattutto sul set.

Maestro, le sue parole sul nepotismo nel cinema italiano hanno fatto molto rumore.

Mi fa piacere che abbiano generato un dibattito, visto che hanno tolto spazio alla promozione del film: un autore preferisce che si parli del suo ultimo lavoro, affinché la gente lo vada a vedere, piuttosto che parlare di sé per “polemiche” innescate. Ma questa è una cosa seria e fa parte dei mali che affliggono il cinema italiano.

Questa è una delle cause: il paesello. Siamo una sorta di “orticello”, per parafrasare il titolo del mio ultimo film. Ci sono dinamiche troppo chiuse che impediscono spesso ai nuovi talenti di emergere con maggiore facilità.

Chi fa cinema in Italia si sente, dal giorno del debutto, un grande regista: anziché “regia di” mettono “un film di” e da questo già capisci che avremo di fronte futuri Sorrentino, Amelio e Moretti. Un’investitura ovviamente troppo pesante che verrà col tempo puntualmente disattesa. E questo avviene perché il sistema glielo consente. Una maggiore umiltà e meccanismi meno salottieri e più professionali creerebbero un cinema di genere “puro”, indispensabile per alimentare con buoni contenuti questa industria.

La sua idea del ministero del Cinema può diventare qualcosa di concreto?

La definisco una sorta di “Agenzia per il cinema”. Con il ministro Alessandro Giuli ne abbiamo parlato ed è d’accordo sul fatto che il cinema, rispetto a tutte le altre arti ed espressioni della Cultura e dello Spettacolo, ha una vita a sé.

Non sto dicendo che sia migliore, anzi visti tanti dei nostri film, miei compresi, spesso è peggiore. Ma è una forma di intrattenimento popolare che varca ogni confine e spesso rappresenta l’Italia nel mondo, non a caso siamo la nazione che ha vinto più volte, quattordici, l’Oscar come miglior film straniero.

Dobbiamo avere un trattamento particolare, quasi appunto un minidicastero dentro il dicastero stesso. Il nostro Paese non può concedere budget hollywoodiani, ma si possono fare film e serie Tv che abbiano una decenza, perché le maestranze e i professionisti che gravitano nel settore sono estremamente qualificati.

In queste settimane si parla molto di sale che chiudono, ma il dramma di oggi sono le produzioni in difficoltà colpite, da un momento all’altro, da una “spending review” che rischia di abbattersi come una scure.

Sul “salottismo” del cinema italiano e di una certa intellighenzia di sinistra lei venne subito a conoscenza appena arrivato a Roma.

Erano gli anni ’60 e, pur di farmi notare, ho cercato di frequentare tutti i luoghi del cinema. Da Cinecittà a Piazza del Popolo, dal Villaggio Tognazzi a Torvaianica agli ambienti più altolocati frequentati da Pasolini, Moravia, i giovani Bertolucci, Bellocchio.

Pasolini lo incontrai nel momento più difficile della sua vita, in cui il suo impegno politico era totalizzante. Io che ero un ragazzo di provincia mi sono ritrovato a collaborare con lui per la sceneggiatura di ‘Salò’ e mi sembrava un miracolo. E Pier Paolo mi scelse proprio perché non appartenevo al giro dei salotti, politicizzati, del cinema italiano dell’epoca. Io volevo solo fare cinema, volevo fare lo spettacolo d’intrattenimento, di genere.

Era il ’68 e pensavo a come raccontare storie e quali, mentre intorno a me c’era la rivoluzione e tutti si sentivano in qualche modo impegnati. Io con loro non c’entravo nulla, lo capirono e non mi invitarono più: mi sono fatto disprezzare dichiarando una sera la mia vicinanza alla Democrazia Cristiana. Per il cinema italiano militante ero un alieno, e questo mi ha permesso di trovare la mia strada. Sono cresciuto in questo ambiente da solo senza amicizie giuste e senza dover baciare le pantofole a qualcuno.

Ha anche parlato di istituire, all’occorrenza, un albo professionale.

Eventualmente. Sono tutti suggerimenti che dovrebbero far parte di una riforma che auspico possa avvenire sotto questo governo e con il ministro Giuli, persona attenta e competente. Così come la Scuola è stata separata dall’Università e la Cultura dal Turismo, è arrivato il momento di distinguere all’interno della Cultura le attività museali dalle nuove tecnologie e dall’industria dell’immagine. Sono specificità ben diverse la conservazione degli affreschi degli Uffizi o la valorizzazione del patrimonio della Reggia di Caserta con la produzione di film o fiction.

L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia dell’aprile 2025 (numero 3, anno 8)

 

 

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