Fabrizio Cortese, presidente di Otodi, spiega perché la salute delle ossa è fondamentale per l’organismo e da quali nemici difenderle.
Dal femore alla staffa, il nostro scheletro in età adulta è costituito da 206 ossa, ma una piccola parte della popolazione possiede un paio di coste (cervicali) in più. Ecco perché, a seconda delle fonti, troverete che il totale oscilla da 206 a 208.
Tante, penserete, ma soprattutto essenziali per sostenere il resto del corpo. Come stanno allora le ossa degli italiani? “Mediamente bene, considerando che l’Italia, insieme al Giappone, vanta il maggior numero di anziani e ormai parliamo di orto-geriatria per i tanti pazienti ‘argento’”, ci spiega Fabrizio Cortese, direttore di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Santa Maria del Carmine di Rovereto (TN) e presidente di Otodi (società degli Ortopedici e traumatologi ospedalieri italiani).
“Una recente ricerca internazionale colloca l’Italia fra le prime quattro nazioni al mondo per la prevenzione dell’osteoporosi”, il ladro delle ossa che si accanisce in particolare contro le donne. “Ma occorre fare di più sul fronte della prevenzione delle cadute: i programmi sono attivi solo in alcune Regioni ma è fondamentale implementarli”, aggiunge Cortese, convinto che lo scheletro andrebbe trattato come un conto corrente. Vediamo perché.
Amici e nemici delle ossa
Escludendo le cadute e gli incidenti, per la salute dello scheletro “lo stile di vita è fondamentale. Sempre più spesso anche nell’anziano si parla di sarcopenia, cioè mancanza del muscolo: una condizione che in caso di frattura è un’aggravante. Ecco perché per un paziente senior riuscire a fare la sua passeggiata e mantenere in attività la muscolatura è importante”.
Secondo aspetto da non dimenticare: l’esposizione al sole. “Facilita la sintesi della vitamina D e quindi l’acquisizione del calcio, essenziale per la salute delle ossa. Dobbiamo pensare al nostro scheletro come a un conto corrente dove depositiamo e preleviamo calcio. Purtroppo, soprattutto nelle donne, c’è un calo fisiologico di questo minerale legato alla menopausa. Ma se negli anni precedenti abbiamo versato sul conto corrente un’adeguata quantità di calcio, avremo un tesoretto da utilizzare. Altrimenti rischiamo di andare in rosso e dunque di fratturarci, non solo cadendo”.
Insomma, la celebre frase di Paolo Giordano sulle fratture – le peggiori “sono quelle che ci si procura da fermi, quando il corpo decide di andare in pezzi e lo fa, in una frazione di secondo si sbriciola in così tante schegge che dopo è impensabile ricomporlo” – deve essere un monito. “Oggi – conferma il presidente Otodi – vediamo spesso fratture spontanee in situazioni di osso osteoporotico”.
Attività fisica e guerrieri del fine settimana
Occhio anche agli eccessi: “L’attività fisica è preziosa, ma attenzione all’overuse, perché l’apparato muscolo-scheletrico risponde positivamente allo stress meccanico solo fino a una certa soglia. Superato il limite si va incontro a tendinopatia e strappi muscolari: chiediamo troppo al nostro apparato locomotore. Ecco perché il weekend warrior, che il sabato e la domenica concentra tutta l’attività fisica, più facilmente si può fare male”.
Rimpinguare il conto corrente a tavola
Tornando al conto corrente osseo, “caffè e sigarette agiscono molto negativamente”, avverte il presidente Otodi. E l’alcol? “Sì, ma meno”. Dall’altra parte “tutti i derivati del latte, indipendentemente dalla presenza di lattosio, sono utili. Ci sono poi alimenti ricchissimi di calcio che spesso trascuriamo, come per esempio la frutta secca, alcuni tipi di verdure come quelle a foglia verde, il cavolo cinese, la rucola, gli spinaci, la lattuga romana, il cavolo riccio e il crescione”.
Nelle donne l’inizio della menopausa “segna l’avvio del periodo in cui si comincia a prelevare dal conto corrente ed è molto più faticoso depositare – ragiona Cortese – in questo caso un’addizione anche farmacologica di vitamina D aiuta, così come sane abitudini alimentari. In caso di frattura da fragilità lo specialista potrà suggerire delle terapie che aiutano moltissimo a fissare il calcio. L’invito alla popolazione è quello di controllarsi con regolarità. In particolare le donne dopo la menopausa dovrebbero monitorare la salute delle proprie ossa nel tempo, per capire se stanno perdendo massa e poter intervenire”.
L’era delle protesi
L’evoluzione della medicina ha cambiato le prospettive per i pazienti silver. “Nel 2000 l’Organizzazione mondiale della sanità ha giudicato l’operazione di protesi d’anca l’intervento del secolo. Questo perché è capace di modificare in maniera radicale la qualità di vita di una persona. Consideriamo che oggi in Italia eseguiamo circa 180.000 protesi d’anca l’anno, mentre solo dieci anni fa erano circa la metà. Per quanto riguarda la protesi di ginocchio partivamo nel 2015 da circa 70.000 casi l’anno e oggi siamo arrivati a 108.000. Si tratta di interventi di successo, in particolare per l’anca: in più del 90% dei casi ci si dimentica quale parte è stata operata. Viceversa le protesi di ginocchio, che pure cambiano radicalmente la qualità della vita delle persone, ancora oggi hanno una percentuale tra il 20 e il 25% di pazienti insoddisfatti. C’è margine per migliorare”.
E i robot? “La robotica è una tecnologia vincente e la precisione dovrebbe assicurare una maggior durata della protesi. Ma è anche una tecnologia recente: quelle oggi in commercio risalgono massimo al 2017-18, quindi non possiamo ancora dire che le protesi robotizzate andranno meglio, non c’è tempo di osservazione sufficiente”.
Secondo il numero uno di Otodi la personalizzazione sarà il futuro. “Si sta creando una grossa sinergia tra robotica e intelligenza artificiale – rileva Cortese – lo step successivo probabilmente sarà quello di avere una grossa massa di dati da studiare con l’AI per individuare la soluzione ottimale per il singolo arto. Tant’è vero che oggi, insieme alla robotica, sta nascendo un’altra filosofia: quella delle cosiddette protesi ‘custom made’, ovvero fatte su misura per il singolo paziente. Una tecnologia al momento estremamente costosa e limitata a situazioni particolari, che probabilmente tra qualche anno diventerà di routine”.
La verità sull’ernia
Passiamo a una patologia insidiosa e dolorosa: l’ernia del disco. Si sente dire che ormai non si opera più. “Quando ho iniziato la mia attività – ricorda l’ortopedico – mediamente operavamo 2 o 3 ernie lombari a settimana. Oggi si eseguono pochi interventi l’anno, concentrati in alcune realtà super specialistiche. Ma esistono approcci diversificati a seconda delle varie patologie. Raramente ormai si fa l’asportazione del disco intervertebrale: molto più spesso questo viene sostituito con delle gabbiette metalliche. In alcuni casi vengono inserite delle sostanze all’interno del disco per cercare di mantenere lo spazio. Esistono spaziatori dinamici da mettere nelle strutture della colonna vertebrale per conservare la funzione del disco, e in caso ciò non sia possibile, non ci si limita come una volta a levare il disco: si fa una stabilizzazione, ovvero si fonde l’articolazione tra due vertebre per evitare problemi di stabilità in futuro. Questo ha portato la chirurgia vertebrale a concentrarsi in centri ad alto volume”.
Insomma, l’ernia si opera meno, ma soprattutto in modo diverso. E i risultati sono “molto buoni in termini di risoluzione del dolore”.
Effetto tablet
Il dilagare delle tecnologie non impatta solo sugli approcci chirurgici. Per i nativi digitali le patologie dello scheletro sono cambiate? “In generale potrei dire di sì, mediamente i ragazzini stanno più tempo sul divano o chini sul tablet che a giocare fuori. E lo scheletro ne risente, ma dati al momento non ne abbiamo. Esiste sicuramente un aumento della patologia cifotica, che può essere collegato all’utilizzo di questi device elettronici. E un problema di tendiniti ricorrenti della mano per l’abitudine a maneggiare smartphone e tablet. Dire che siamo di fronte a un’epidemia mi sembrerebbe un po’ eccessivo, però sicuramente alcuni segnali si vedono”, conclude Cortese.
Emorragia di giovani dottori delle ossa
Anche gli ortopedici in erba fuggono dal Ssn. L’analisi di Fabrizio Cortese, presidente di Otodi
Molte specialità mediche lamentano una carenza di nuove leve. Cosa succede all’ortopedia? “Un anno e mezzo fa – ricorda Fabrizio Cortese presidente di Otodi (società degli Ortopedici e traumatologi ospedalieri italiani) – la nostra sezione giovani ha realizzato un’indagine fra i colleghi dipendenti pubblici da meno di dieci anni. Così ci siamo accorti che esiste un disagio: quasi la metà degli intervistati ha dichiarato che forse cambierà posto nell’arco dei prossimi anni e l’8% lo dà addirittura per certo. Un’emorragia di risorse soprattutto per quel che riguarda alcune aree geografiche. C’è una crescente insoddisfazione per la qualità di vita perché la nostra è una specialità anche d’urgenza, che richiede reperibilità o guardie, di lavorare di notte e durante i festivi. Un impegno che a nostro parere non è riconosciuto, non solo a livello economico ma anche di prestigio sociale. Ecco perché i giovani o non scelgono Ortopedia, o alla prova del fuoco mollano: ci si trova in alcuni casi a lavorare sotto organico e questo vuol dire più turni e più stress. Ne abbiamo parlato anche con il ministro della Salute Orazio Schillaci: dobbiamo fare qualcosa sia in termini di qualità del lavoro, che di retribuzione e di carriera all’interno del Servizio sanitario nazionale”.
L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia dell’aprile 2025 (numero 3, anno 8)