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Meta lupo: il ritorno del dire wolf, tutta la verità/VIDEO

matalupi Credits: Colossal Laboratories & Biosciences
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Velasco25 Articolo

Si fa presto a dire meta lupo. Qualcuno di voi avrà sentito l’annuncio di Colossal Biosciences, società biotech che nelle scorse ore ha dichiarato di aver “resuscitato” il  dire wolf, un carnivoro del Nord America estintosi circa 10.000 anni fa.

Si tratta dell’Aenocyon dirus o enocione, specie di canide lupino vissuta nel Pleistocene, celebre tra i fan del ‘Trono di Spade’: nella saga di George R.R. Martin infatti un metalupo grigio su campo bianco è l’emblema di Casa Stark.

“Per la prima volta nella storia dell’umanità”, scrive l’azienda da oltre 10 miliardi di dollari sul suo sito web, “Colossal è riuscita a riportare in vita una specie un tempo estinta grazie alla scienza della de-estinzione“. E già questo termine ha suscitato l’indignazione di parte degli scienziati. Iniziamo col dire che l’obiettivo di Colossal è più ampio: far rivivere specie estinte, tra cui il mammut, il dodo e la tigre della Tasmania. Ma i bellissimi esemplari presentati al mondo (nella foto principale i gemelli Romolo e Remo a 1 mese) non sono meta lupi. E ciò che è stato ottenuto non è esattamente una “de-estinzione”.

Per capirne di più sull’approccio della società biotech – che a gennaio ha portato a casa un finanziamento di Serie C di 200 milioni di dollari guidato da TWG Global – Fortune Italia ha approfondito la questione con il genetista dell’Università di Roma Tor Vergata Giuseppe Novelli. Partendo da un’interessante analogia cinematografica. Il metodo usato per il meta lupo ricorda infatti, molto da vicino, quello messo a punto per riportare in vita di dinosauri nella celebre pellicola di Steven Spielberg.

Il meta lupo a 3 mesi
Il meta lupo a 3 mesi

Jurassic Park si può fare?

“Non è possibile riportare in vita i dinosauri: la loro estinzione – scandisce lo scienziato – risale a troppo tempo fa e il Dna non si conserva nei fossili per così tanto tempo. La resurrezione di specie estinte richiede infatti la disponibilità di Dna fossile il più integro possibile. Questa possibilità si riduce quanto più una specie è estinta da tempo. Grazie alle nuove tecniche di ingegneria genetica – spiega Novelli – si potrebbero riportare in vita delle specie che estinte in passato, con un processo che viene definito, appunto, de-estinzione”.

Che cos’è la de-estinzione e come funziona

La de-estinzione “è diventata una possibilità allettante negli ultimi anni, grazie ai progressi nell’editing genetico, in particolare alla tecnologia CRISPR-Cas9. Sebbene sia ancora in una fase sperimentale, gli scienziati stanno esplorando metodi per riportare in vita specie come il mammut lanoso, il piccione migratore e la tigre della Tasmania sfruttando questa tecnologia”, dice Novelli.

Ma come funziona? La de-estinzione “richiede innanzitutto il sequenziamento del Dna della specie estinta a partire da resti conservati (come mammut congelati o esemplari museali). Quindi il confronto di questa sequenza con il genoma di una specie vivente strettamente correlata (ad esempio, elefanti asiatici per i mammut). Poi la modifica genetica mediante editing del Dna del ‘parente’ vivente per introdurre segmenti tipici della specie estinta in grado di codificare per caratteristiche peculiari di questa. Nel caso del mammut: pelliccia folta, strati di grasso, tolleranza al freddo. Il Dna di un nucleo  modificato – precisa il genetista – viene poi trasferito in una specie surrogata (come le uova di elefante per i mammut) esattamente come è stato fatto per la pecora Dolly”.

Risultato? Gli individui creati in laboratorio con questo approccio non sono copie esatte degli animali estinti, “ma piuttosto dei loro ‘proxy’, ovvero ibridi con caratteristiche simili. La nuova specie è geneticamente diversa da qualsiasi animale mai esistito, sebbene affine a quella estinta”.

Embrioni

Il meta lupo

Colossal Biosciences “ha creato tre cuccioli di ‘meta lupo’ utilizzando frammenti di Dna antico sequenziato e confrontato con quello del lupo grigio. I ricercatori hanno modificato il Dna del lupo grigio inserendo geni chiave dell’enocione, ottenendo così degli ibridi. Il nucleo modificato è stato poi utilizzato per produrre in laboratori cloni cellulari, trasferiti poi nell’utero di una femmina di cane (madre surrogata) che ha portato a termine la gravidanza e dato alla luce tre cuccioli proxy che somigliano nell’aspetto al loro antenato estinto”. Si tratta dei gemelli Romolo, Remo e della piccola Khaleesi.

Abbiamo quindi un meta lupo vivente?

“No – afferma Novelli – abbiamo un lupo grigio geneticamente modificato, come avviene con altri animali transgenici. È riduttivo credere che una ventina di modifiche genetiche possano trasformare un lupo grigio in un predatore come l’enocione. Probabilmente servirebbero centinaia o migliaia di modifiche, ma nessuno può dirlo. Quali geni che non codificano per proteine ma che hanno una funzione regolatoria devono essere trasferite per riportare alla specie originaria?”, si chiede e ci chiede il genetista.

Non solo: “Quali e quanti geni influenzano il comportamento? I cuccioli oltretutto cresceranno in un ambiente nuovo diverso dai loro antenati. Quale imprinting riceveranno da genitori adottivi diversi e adattati da millenni ad ambienti molto differenti? Come si comporteranno vecchi geni in un nuovo ambiente? Sono tutte domande a cui non possiamo ancora rispondere”, spiega lo scienziato.

Il futuro del cuccioli e della ricerca

Ma allora come giudica questo lavoro? “Indubbiamente si tratta di un passo avanti tecnologico importante, che consente di sviluppare strumenti di ingegneria genetica utili per eventuali azioni di conservazione di specie moderne a rischio estinzione e per comprendere meglio le relazioni tra le specie, estinte o viventi. Ampliando così la nostra conoscenza della natura e dei suoi processi che hanno portato alla scomparsa di molte specie”.

Negli ultimi 40 anni, ricorda Novelli, “la fauna selvatica è diminuita di circa il 60% e innumerevoli specie sia terrestri che marine sono ormai vicine all’estinzione per azione dell’uomo. Forse, invece di riportare in vita il dodo o il mammut, dovremmo concentrarci sulla salvaguardia degli ecosistemi. Perché se continuiamo a distruggerli, non servirà de-estinguere nessuna specie. Né, tantomeno, salvare la nostra”, conclude.

FOTO: Credits Colossal Laboratories & Biosciences

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