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Madri: figli maschi cresciuti senza no e femminicidi

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Adyen Articolo
Velasco25

Nei delitti delle due studentesse universitarie uccise a Messina e a Roma, Sara Campanella e Ilaria Sula, è stata l’incapacità di accettare un no a far detonare la rabbia nei loro assassini. Ma, mentre le indagini vanno avanti, a colpire è anche il comportamento delle madri dei due ragazzi.

Senza entrare nei dettagli di questi due ultimi femminicidi, che hanno spezzato la vita di due ragazze che stavano concludendo il loro percorso universitario, la criminologa e psicologa Antonella Elena Rossi sottolinea come sia arrivato il momento di “interrogarci sul tipo di educazione la nostra società sta dando ai ragazzi”.

Ci troviamo con giovani maschi “cresciuti su un piedistallo – dice l’esperta a Fortune Italia – a suon di troppi sì e pochi no. Così i figli pensano di essere dei re: la prima volta che una ragazza dice loro di no o non li vede, come è successo a Messina, scatta la rabbia totale”.

La giustificazione della madre

Quella delle madri che giustificano i figli colpevoli di femminicidio “è una tematica complessa – avverte la psicologa – che tocca tantissimi piani: da quello affettivo a quello sociale, psicologico e culturale. Ci sono madri che hanno una negazione della realtà e non riescono ad accettare che il proprio figlio abbia commesso un atto così atroce. Una difesa psicologica che serve a proteggere l‘immagine interna del figlio, spesso idealizzata. Così spesso e volentieri i giovani si sentono dei re, dei despoti, e non riescono ad accettare un no. Quando lo ricevono, uccidono. Si tratta di giovani che non hanno ricevuto abbastanza no, sia dalla madre che dal padre“.

Così nella testa di una madre, quando il figlio dice ‘non sono stato io’ oppure ‘ho visto nero’, scatta la giustificazione: “Non è possibile che sia stato lui, non era in sè”. “Lo giustificano perchè si sentono responsabili”.

La tolleranza verso la violenza maschile

“Poi c’è il peso del modello culturale patricarcale, caratterizzato da una tolleranza, esplicita ma anche implicita, nei confronti della violenza maschile. In questi casi la madre – non dico che siano questi i casi – può arrivare addirittura a giustificare il proprio figlio, dicendo che la vittima lo ha tradito, provocato, frainteso. Insomma, sono madri che attirano i figli in un modello distorto: l’uomo viene cresciuto con un senso di superiorità rispetto alla donna”, continua Rossi.

Un attaccamento simbiotico tra madri e figli

“In alcuni casi la mamma sviluppa un attaccamento simbiotico invischiante con il figlio, cui non ha mai permesso una piena affettività. Un legame che però porta a una relazione distorta: sono quelle madri – dice la psicologa – che non lasciano mai andare i figli e se ne preoccupano ossessivamente, senza renderli autonomi. Serve invece la giusta distanza educativa, come dico sempre alle donne con figli molto piccoli: bisogna stare distanti, vedere i bambini cadere e lasciare che si rialzino da soli. Invece queste madri si sostituiscono ai propri figli, i quali pensano di essere dei despoti”.

Insomma, talvolta nella madre scatta un meccanismo difensivo estremo: “Ammettere che tuo figlio ha ucciso una donna – riflette la criminologa – significa distruggere un’immagine che hai costruito per anni. Una forma di autoconservazione: non si protegge solo il proprio figlio, ma la propria identità di madre”.

Donne, educazione e controllo

“Purtroppo nel nostro Paese c’è ancora una visione per cui le madri educano i figli maschi nel diritto di controllare la donna perchè sono le prime che si fanno controllare e che servono i figli. È una cosa inconscia, che le donne fanno in maniera automatica. Non voglio colpevolizzare le madri, che fanno quello che possono in una società che passa questo tipo di valori. O puntare il dito contro madri o padri. Questi ultimi però, come diceva Eric Fromm, dovrebbero esercitare la giustizia. Preoccupa il fatto che i figli hanno delle madri che li proteggono troppo e dei padri che colludono con loro, senza mostrare cosa è giusto e cosa è sbagliato”.

Una forbice tra i giovani maschi e femmine

Poi ci sono anche “madri che si colpevolizzano talmente tanto nel caso dei figli che delinquono, da arrivare a provare a togliersi la vita. Dobbiamo interrogarci su che tipo di educazione la società sta dando a questo ragazzi, messi su un piedistallo e cresciuti con troppi sì e pochi no. Nel momento in cui una donna sfugge al loro controllo – rileva la psicologa – diventano molto aggressivi. La nostra società sta aprendo una forbice: da una parte giovani donne che cercano l’autonomia, dall’altra coetanei che non sanno tollerare i no perchè non li conoscono. Risultato? Donne molto resilienti, maschi molto frustrati”.

La metafora delle madri che allattano troppo a lungo

Tutto questo è forse anche il risultato di “madri che metaforicamente allattano troppo a lungo il figlio, sminuzzano il cibo per lui da piccolo e gli semplificano la vita da grandi. Lo ricordo sempre ai genitori: il miglior successo è diventare inutili quando il ragazzo ha 18 anni. Scappiamo dalla protezione a oltranza e dall’idea di avere ragazzi perfetti. Siamo invece tutti imperfetti e dobbiamo imparare a trasformare i nostri vincoli in risorsa. Se invece ci illudiamo di essere perfetti, finiremo per scontrarci con la realtà: quando quel no arriva, scatta la rabbia e si diventa dei carnefici”, conclude Rossi.

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