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Dazi, Gozzi (Federacciai): “Italia e Usa si alleino contro la Cina”

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Velasco25 Articolo

“Per un Paese esportatore come l’Italia, dazi e guerre commerciali sono il peggio che ci possa essere. Ma bisogna puntare a creare opportunità di dialogo con gli Stati Uniti“. Parola del presidente di Federacciai Antonio Gozzi, che apre al confronto con l’industria americana: “Al di là del tema delle tariffe, che è di competenza dell’Europa, una collaborazione industriale Italia-Stati Uniti è assolutamente ipotizzabile“. Anche per combattere lo strapotere cinese.

Il settore dell’acciaio sperimenta dazi già dal 2018. Che effetti hanno avuto in passato queste politiche?

I dazi per il nostro settore arrivarono alla fine del 2018 e noi quell’anno, di fatto l’ultimo senza tariffe, esportammo negli Stati Uniti 900mila tonnellate di acciaio. Nel 2024 siamo arrivati a 290mila tonnellate, con una contrazione delle vendita di due terzi, che naturalmente in questi sei anni abbiamo dovuto assorbire. Come? In parte riducendo le produzioni, in parte esportando di più in Europa, Canada e Nordafrica. Con una sostituzione di quello che non riuscivamo più a esportare negli Usa.

Quali altre risposte si era deciso di mettere in campo in quella fase?

C’era stata una proposta dell’amministrazione Biden, nel 2022. Rispondendo alle lamentele dell’Europa sui dazi, che comunque erano rimasti in vigore, l’ex presidente aveva avanzato una buona idea: la creazione di un’area di libero scambio tra Canada, Stati Uniti, Messico, Europa, Corea del Sud, Giappone e Australia, all’interno della quale non ci sarebbero state tariffe. Ma a una condizione: i dazi sarebbero rimasti in piedi nei confronti di Pechino, perché negli Usa era vivo il timore che l’Europa diventasse una sorta di colabrodo per l’acciaio cinese. La proposta però venne scartata a livello europeo, anche a causa di una forte resistenza tedesca. Penso sia stato un gravissimo errore ed è bene ricordarlo: oggi sarebbe stato molto più difficile per Trump far saltare un’area di libero scambio come quella che si sarebbe venuta a creare.

Quali sono i rischi delle nuove tariffe sull’economia italiana e, più in generale, su quella europea?

Naturalmente per un Paese esportatore come l’Italia, dazi e guerre commerciali sono il peggio che ci possa essere. Su 1200 miliardi di fatturato, il nostro Paese esporta per un valore di più di 600mila, quindi oltre il 50% della nostra manifattura. L’export con gli Usa vale circa 60 miliardi l’anno, grosso modo il 10% del totale. Alcuni settori sono poi particolarmente sensibili ed esposti. Penso soprattutto all’agroalimentare, alla moda o a quello delle macchine utensili. E poi c’è un altro grande rischio: tutto ciò che, dal Sud-Est asiatico, non sarà più diretto più negli Stati Uniti, potrebbe arrivare in Europa. Per cui c’è un problema anche europeo: in questo momento non si può continuare a essere il mercato più aperto del mondo, perché si potrebbe finire invasi dalla sovracapacità produttiva cinese in tutti i settori industriali.

Come dovrebbero muoversi a suo avviso il governo italiano e l’Unione europea?

Penso che i contro-dazi non servano a niente. Bisogna tentare di intavolare un dialogo con gli Stati Uniti, ragionando sul fatto che la visione attuale che gli americani hanno dei dati è parziale. Se è vero, infatti, che la bilancia commerciale è a favore dell’Unione europea, non si può certo dire lo stesso inserendo nella bilancia dei pagamenti anche i servizi e le transazioni finanziarie. Così l’Europa sarebbe a credito, non a debito. Solo lo scorso anno, infatti, 350 miliardi di euro di risparmio europeo sono stati investiti negli Usa. E il deficit di importazione di servizi è gigantesco: anche di questo bisognerebbe tener conto. Il problema vero è che gli Stati Uniti, che hanno un debito mostruoso, si trovano ad affrontare un momento difficile. A questo si somma un processo di deindustrializzazione molto pesante, che però non si può pensare di risolvere con la bacchetta magica dei dazi. Il commercio internazionale, comunque, è una tipica competenza europea, per cui la riposta dovrà essere comune.

In queste ore si parla di una possibile visita del presidente Giorgia Meloni negli Stati Uniti, ipotizzata per il 16 aprile. Cosa ne pensa?

L’Italia, con Giorgia Meloni, potrebbe svolgere una funzione importante nell’interesse non solo nazionale, ma anche dell’Europa. Facendo in qualche modo da ponte con gli Stati Uniti di Trump. Bisogna creare opportunità di dialogo. In questi ultimi giorni ho più volte ribadito l’importanza anche di un confronto tra industria europea, soprattutto italiana, e industria americana. Conosco bene gli Stati Uniti e il livello della loro manifattura, che è basso rispetto al nostro: vedo delle grandi possibilità. Al di là del tema dei dazi, che è di competenza dell’Europa, una collaborazione industriale Italia-Stati Uniti è assolutamente ipotizzabile.

Lei ha più volte ripetuto che in quanto europei abbiamo interessi in comune con gli Usa contro quello che è il vero nemico, la Cina. Ci spieghi.

L’Occidente è esposto al grande rischio di essere invaso da prodotti cinesi, perché Pechino potrebbe scaricare su di noi la sua sovracapacità produttiva, in tutti i settori, invadendo il mondo. Ecco la vera questione. 

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