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Trump con i dazi sta portando consapevolmente l’economia americana verso il precipizio

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Velasco25 Articolo

Nel fine settimana, le rassicurazioni di Donald Trump circa un approccio più magnanimo ai dazi sono state nuovamente ribaltate, tornando apparentemente a tariffe draconiane e generalizzate del 20%.

L’annuncio del “giorno della liberazione” fatto presso il Rose Garden da parte del presidente, in cui aveva promesso tariffe universali su tutto ciò che sarebbe entrato negli Stati Uniti da qualunque parte – accompagnato dal un calo del 10% del mercato azionario, determinato da Trump, nell’ultimo mese – è solo l’ennesimo esempio di come i capricci tariffari del Presidente stiano portando l’economia statunitense dritta verso il precipizio.

Usa: Trump parla di tariffe globali al 20% e scendono i futures di Dow Jones

Visto il coro quasi unanime di leader aziendali ed economisti, c’è da chiedersi cosa motivi i decreti distruttivi di Trump. Come ha confessato lo stesso Presidente questo fine settimana alla Nbc, “non me ne può fregare di meno se i prezzi delle auto aumentano!”.

Una politica confusa che sta scoraggiando gli investimenti

Il problema non sono le tariffe, il problema è Donald Trump, chiaro e semplice. Secondo i risultati del nostro sondaggio Yale CEO Caucus, il 90% degli amministratori delegati è effettivamente favorevole alle tariffe, se utilizzate in modo strategico e selettivo.

Questi dirigenti d’azienda sono favorevoli all’uso di tariffe selettive per correggere gli squilibri commerciali reali e limitare il dumping straniero negli Stati Uniti, che mina i produttori statunitensi in settori come l’acciaio.

Ma questi obiettivi meritevoli sembrano spesso essere subordinati alle vendette di Trump, come la volontà di punire la sua nemesi di lunga data Justin Trudeau; e, cosa ancora più importante, il lancio idiosincratico e capriccioso di tariffe da parte di Trump ha reso quasi impossibile per le aziende investire, ostacolando l’obiettivo dichiarato dallo stesso presidente di riportare investimenti e posti di lavoro negli Stati Uniti.

Esiste già una classificazione molto confusa con 12.500 tipologie di tariffe su 200 partner commerciali. Abbiamo fatto il conto delle dichiarazioni di Trump sulle tariffe negli ultimi due mesi e abbiamo trovato non meno di 107 casi di paradossali capovolgimenti sulla politica dei dazi, spesso con retromarce fatte nello stesso giorno.

Questo non tiene conto nemmeno delle indicazioni, spesso contraddittorie, dei vice di Trump che vengono poi annullate dallo stesso presidente.

Le imprese hanno bisogno di prevedibilità e stabilità; nessuna azienda può autorizzare miliardi di spesa in conto capitale per costruire nuovi impianti o assumere nuovi lavoratori quando la politica commerciale cambia non giorno per giorno, non ora per ora, ma in alcuni casi, letteralmente, minuto per minuto.

Durante il nostro Yale CEO Caucus di questo mese, gli amministratori delegati si sono lamentati e hanno rabbrividito ogni volta che Eamon Javers della Cnbc ha riportato una nuova inversione nella politica tariffaria, con sette cambi di passo nel corso di un evento di tre ore.

‘Arte del compromesso’ o perdita del controllo

L’11 marzo, l’amministratore delegato di JP Morgan Chase Jamie Dimon e il fondatore e presidente dello Yale Chief Executive Leadership Institute Jeffrey Sonnenfeld hanno discusso le opportunità strategiche e le sfide del Trump 2.0.

I difensori di Trump sostengono che tutto questo fa parte della sua ‘arte del compromesso‘: dare un pugno così forte in faccia alle controparti da far perdere loro l’equilibrio e implorare un accordo.

Ma la realtà è che Trump si sta facendo fregare in questi accordi, in quanto le aziende si limitano a ripresentare le spese di investimento già esistenti e pianificate sotto forma di annunci di “nuovi investimenti” negli Stati Uniti, con tanto di titoli di giornale.

L’elusione dei dazi

La patina di sfarzo e glamour delle sontuose conferenze stampa nello Studio Ovale che annunciano questi nuovi investimenti nasconde una realtà molto più cruda, in quanto i nuovi “investimenti” tanto sbandierati, come la fabbrica di elettronica da 10 miliardi di dollari prevista dalla Foxconn nel Wisconsin, si sono trasformate in ombre abbandonate e impianti fermi.

Nel frattempo, i leader di aziende straniere offrono concessioni simboliche con pochi benefici reali per gli Stati Uniti, mentre si mobilitano per eludere i dazi reindirizzando le catene di approvvigionamento attraverso paesi neutrali, sfidando sfacciatamente e apertamente Trump, pur mostrando di assecondare, almeno a parole, i suoi capricci.

Ecco perché il 90% degli amministratori delegati intervistati durante il nostro Yale CEO Caucus ha dichiarato che le tariffe di Trump si stanno ritorcendo contro gli Stati Uniti.

L’impatto dei dazi sull’economia reale

Questi amministratori delegati, come tutti gli altri, hanno davanti a sé una serie di dati che evidenziano l’ampio caos provocato dalle tensioni tariffarie di Trump. Non solo queste, da quando si è insediato, hanno contribuito a ridurre il valore del mercato azionario di circa 7.000 miliardi di dollari  – abbastanza per finanziare il governo per un anno intero – ma i costi si stanno facendo sentire nell’economia reale.

Lungi dal riportare l’industria manifatturiera e i posti di lavoro negli Stati Uniti, Trump sta uccidendo la manifattura americana, danneggiando i lavoratori statunitensi e trascinando con sé l’intera economia degli Stati Uniti.

Le aspettative di inflazione sono balzate ai massimi da 32 anni a questa parte; la fiducia dei consumatori è crollata del 25% sia nei sondaggi dell’Università del Michigan che in quelli del Conference Board, mentre la spesa per i consumi ha subito il calo maggiore da cinque anni a questa parte; la fiducia delle piccole imprese della Nfib è crollata del 50%; il mercato del lavoro si sta deteriorando, dato che il numero di nuovi licenziamenti è quadruplicato negli ultimi tre mesi; le spese in conto capitale e gli investimenti si sono fermati e le previsioni di crescita del PIL si sono ridotte dell’1%: un’inversione di tendenza della fortuna economica, in quanto l’euforia iniziale delle promesse di Trump di tagli fiscali e deregolamentazione si è trasformata nel mostro di Frankenstein di tutte le tariffe, in tutti i tempi.

Le ragioni di Donald Trump

Naturalmente, molti dirigenti d’azienda si chiedono cosa spinga Trump a fare capricci così distruttivi sui dazi. Da un lato, Trump è ossessionato dalle tariffe almeno dagli anni ’80; dall’altro, ha a lungo considerato in modo riduttivo la bilancia commerciale degli Stati Uniti, come se fosse ancora a capo della Trump Organization, che ogni anno cerca di vendere più di quanto compri.

Ma il caos puro, evitabile e intenzionale dell’annuncio dei dazi da parte di Trump e la sua volontà di ignorare i significativi ribassi del mercato azionario, suggeriscono che potrebbero esserci altri fattori esplicativi.

Alcuni amministratori delegati hanno suggerito privatamente che Trump potrebbe cercare di indurre una recessione all’inizio del suo mandato per “ripulire il tavolo” ben prima delle elezioni di midterm, anche se ciò presuppone una maggiore capacità di previsione strategica a lungo termine rispetto a quella solitamente associata a Trump.

Più probabilmente Trump non ha un piano e sta inventando le cose al volo, con impulsi megalomani arbitrari non mitigati dal suo staff di yes men.

Un impulso autodistruttivo

Nelle bizze di Trump, gli psicoanalisti potrebbero trovare una forte somiglianza con quella che Sigmund Freud chiamava la patologia della “pulsione di morte” degli imprenditori, o quella che gli psichiatri definiscono l’impulso autodistruttivo, simile a un bambino sulla spiaggia che costruisce un bel castello e lo butta giù.

Abraham Zaleznik, psicoanalista e studioso di management presso la Harvard Business School, 42 anni fa spiegò che spesso leader imprenditoriali come Trump e Musk sono guidati da una megalomania in ultima analisi autodistruttiva, radicata in un cattivo rapporto con un genitore che li ha denigrati ma che non è più presente per essere smentito.

La sindrome del re Mida

Zaleznik ha dichiarato: “Nella loro scalata al vertice, hanno certe fantasie che hanno a che fare con la creazione di un nuovo mondo. Cercano di recuperare il mondo, di rifare la loro infanzia, di ricostruire il rapporto con un genitore. Sono preda della teoria del re Mida. Tutto ciò che toccano diventerà oro, e se non lo diventa impazziscono. Credo che se vogliamo capire l’imprenditore dovremmo guardare al delinquente giovanile. Credo che ci siano molte somiglianze. Entrambi hanno un super-io poco sviluppato. E quindi non capiscono cosa sia giusto o sbagliato”.

La “festa della liberazione” di Trump si è trasformata in un incubo per le imprese statunitensi. La vera liberazione di cui ha bisogno l’economia statunitense è un approccio più ordinato e strategico alle tariffe, svincolato dai capricci idiosincratici di Trump.

Jeffrey Sonnenfeld è Lester Crown Professor in Management Practice e presidente e fondatore dello Yale Chief Executive Leadership Institute.

Steven Tian è direttore della ricerca presso lo Yale Chief Executive Leadership Institute.

Stephen Henriques è ricercatore senior presso lo Yale Chief Executive Leadership Institute ed ex consulente di McKinsey & Co.

Le opinioni espresse nei commenti di Fortune.com sono esclusivamente quelle degli autori e non riflettono necessariamente le opinioni e le convinzioni di Fortune.

L’articolo originale è stato pubblicato su Fortune.com

 

 

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