Sta facendo discutere l’uscita di Versalis, società di Eni, dalla chimica di base con la chiusura e riconversione degli impianti di cracking a Priolo (Siracusa) e Brindisi e del polietilene a Ragusa oltre che con l’apertura dell’impianto per la produzione di plastiche da materie prime riciclate a Porto Marghera.
Il piano di trasformazione e rilancio
Tutto è iniziato con l’avvio da parte di Eni del nuovo piano per la trasformazione e il rilancio del settore chimico, annunciato lo scorso marzo, che ha previsto un investimento di circa 2 miliardi di euro e la riduzione di circa 1 milione di tonnellate di CO2, circa il 40% del totale di Versalis.
Il piano, che prevede una sua implementazione entro il 2029, si proponeva di recuperare la profittabilità della società e rilanciare l’occupazione attraverso la decarbonizzazione e sviluppando nuove attività nei settori delle rinnovabili, dell’economia circolare e dei prodotti specializzati, riducendo così l’impatto della chimica di base.
“Lo scorso autunno l’azienda ci ha presentato il suo piano di riconversione industriale, impegnativo ma necessario.”, aveva spiegato il ministro Adolfo Urso. “Siamo impegnati a tutti i livelli per salvaguardare e rilanciare l’industria della chimica italiana, settore strategico per il sistema industriale del Paese. ”
L’opposizione dei sindacati
Il piano ha da subito destato le perplessità e l’opposizione dei sindacati. “Non siamo d’accordo sulla scelta che Eni sta facendo su Versalis.”, ha detto il Segretario generale della Cgil Maurizio Landini. “Noi stiamo pagando un’assenza di politiche industriali nel nostro Paese. Avere politiche industriali vuol dire che il governo deve individuare i settori strategici su cui indirizzare gli investimenti ed è evidente che, per quello che ci riguarda, oggi siamo di fronte a un rischio che il nostro sistema industriale paghi un prezzo altissimo. Rischiamo di diventare una provincia dell’impero”.
Poi il protocollo siglato lo scorso lunedì con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), contro il quale la Fiom-Cgil si è scontrata da subito.
“Chiediamo a Eni Versalis di fermare il processo del piano che sta mettendo in piedi, chiediamo al Governo di bloccare questo piano e di rinegoziarlo perché noi abbiamo bisogno della chimica di base e abbiamo bisogno in Italia della garanzia occupazionale per tutte le lavoratrici e i lavoratori dell’indotto degli stabilimenti che ci sono in giro per l’Italia. È il momento di fare la politica industriale e non di subirla. È il momento di fare la politica del lavoro anziché correre il rischio della cassa integrazione e dei licenziamenti”. Aveva detto Michele De Palma, segretario generale di Fiom-Cgil, durante il presidio dei lavoratori davanti al Mimit, tenutosi il giorno della firma del protocollo.
“In una fase geopolitica come quella che sta attraversando in questo momento l’Europa e il nostro paese, bisogna avere alcune industrie di base che sono fondamentali: la chimica, la siderurgia, l’automotive, senza questa industria il nostro paese non ha una sovranità industriale, economica e di futuro. È per questo che noi siamo qui combattere insieme alle lavoratrici e ai lavoratori, non soltanto per garantire l’occupazione ma per garantire un futuro industriale a questo paese”.
Scioperi e mobilitazioni
Il primo sussulto di opposizione era arrivato da Ragusa, con Filctem, Femca e Uiltec che lo scorso novembre hanno detto il loro No alla dismissione dello stabilimento e scendendo in piazza il 12 del mese.
Lo stesso giorno, c’è stato anche lo sciopero dei lavoratori di Priolo, guidati da Cgil e Uil, contro la decisione di riconvertire l’impianto. L’operazione avrebbe previsto la cassa integrazione complessiva di 530 lavoratori da entrambi gli stabilimenti.
A muoversi era stata la provincia di Siracusa, insieme a Anci e altri attori locali, chiedendo l’intervento del Governo oltre che della Regione Sicilia.
Il futuro degli stabilimenti dismessi
Secondo il protocollo con il Mimit, lo stabilimento di Priolo diventerà una bioraffineria per la produzione di combustibile e per il riciclo della plastica, mentre Brindisi sarà riconvertito in una gigafactory per la produzione di batterie e accumulatori.
Un processo per il quale è prevista una durata di cinque anni e per il quale è previsto un investimento di 2 miliardi per tutelare l’occupazione. Mentre la Regione Sicilia ha già approvato il piano, più restia è la Regione Puglia che di fatto non l’ha ancora firmato.
Ad accrescere i dubbi sul futuro dello stabilimento pugliese è il fatto che gli investimenti saranno totalmente privati, frutto di una possibile joint venture tra Seri Industrial e l’Eni. Il nuovo stabilimento sorgerà in un sito diverso da quello originariamente previsto del petrolchimico di Brindisi.
L’impianto a Porto Marghera
In questi giorni, infine, è stata annunciata l’apertura di un nuovo impianto a Porto Marghera per la produzione di plastiche da riciclo.
L’impianto è in grado di produrre fino a 20.000 tonnellate l’anno di polistirene cristallo (r-Gpps) e polistirene espandibile (r-Eps), utilizzando materia prima seconda (Mps) derivata dal riciclo di rifiuti di polistirene espanso.
“Il nuovo impianto a Porto Marghera rappresenta un primo tassello della riconversione del Petrolchimico veneziano, in linea con il piano di trasformazione e rilancio di Versalis che è stato recentemente sottoscritto al Ministero delle Imprese e del Made in Italy. A Porto Marghera prevediamo di realizzare ulteriori step di investimento per incrementare la piattaforma di riciclo meccanico delle plastiche e per consolidare e potenziare l’hub logistico, compreso il deposito criogenico per l’etilene”, ha dichiarato l’amministratore delegato dell’impianto Adriano Alfani.
La chimica di base è sempre meno competitiva
Nonostante i numerosi malumori, secondo gli esperti, tuttavia la chimica di base, quinta industria in Italia, è sempre meno competitiva. Per Versalis questa ha comportato una perdita di 7 miliardi in 15 anni, dei quali 3 miliardi persi negli ultimi cinque.
Un esempio seguito anche da molti big nel continente a causa degli alti costi dell’energia e dei vincoli ambientali stabiliti dall’Ue. Ecco alcuni esempi.
Exxxon Mobil ha annunciato, già da un anno, la chiusura del suo impianto petrolchimico a Gravenchon, che conta oltre 600 dipendenti. Dow Chemical metterà “in conservazione” uno dei tre impianti di cracking a Terneuzen, in Olanda. Sempre nei Paesi Bassi, LyondellBassell e Covestro hanno dato l’addio a un loro impianto in joint venture.
In Europa le chiusure hanno coinvolto 21 siti industriali. Tuttavia il congedo dal cracking e dalla chimica di base continua a destare perplessità.
“L’Europa non può fare a meno della chimica di base, che è il pilastro di ogni filiera industriale. Oggi ci troviamo di fronte a un paradosso: produrre in Europa è sempre meno conveniente che importare prodotti chimici dall’estero. Questa tendenza va invertita”. Ha detto il ministro Urso.
Un commento a cui si aggiunge quello dell’ex ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, oggi professore emerito di economia industriale a Ferrara. “Senza la produzione della chimica di base sarà più difficile fare ricerca e sviluppo su quella di specialità”.