Il sonno è un argomento che ha sempre affascinato Piergiorgio Strata, 90 anni appena compiuti, professore emerito di Neurofisiologia all’Università di Torino, tra i più famosi neuroscienziati d’Italia, nonché uno dei più prolifici ricercatori internazionali, con un piazzamento alto nella classifica dei World Scientist and University Rankings.

Il cervello è il ‘tempio’, l’opera d’arte al quale ha dedicato tutta la sua vita da ricercatore e che le tecnologie diagnostiche attuali permettono ormai di studiare con una risoluzione che si spinge fino ad una manciata di neuroni, per scoprire quali zone si ‘accendono’ mentre stiamo pensando o dormendo.
Scoperte che porteranno un giorno non lontano a disegnare un vero e proprio atlante di ‘anatomia’ delle emozioni e del pensiero. Un atlante funzionale da sovrapporre a quello anatomico, per svelare gli ultimi segreti della mente e delle sue patologie.
L’importanza del sonno
Proprio al sonno il professor Strata ha dedicato il suo ultimo libro, “Dormire, forse sognare” (Carocci editore), dal titolo evocativo e shakespeariano, dedicato ai non addetti ai lavori, in cui ha condensato la summa delle ricerche sull’argomento.

“Stiamo trascurando sempre più l’importanza del sonno che, tra impegni di lavoro e svago, finiamo per confinare in uno spazio temporale sempre più angusto”, esordisce il professor Strata. Quasi fosse una perdita di tempo insomma, una seccatura inevitabile.
L’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) “stima che negli ultimi 50 anni, nelle nazioni industrializzate si sia arrivati a dormire quasi un’ora di meno per notte”. E di questa guerra al sonno mossa anche dal capitalismo, che spinge a lavorare sempre più, per produrre di più, si è occupato di recente Jonathan Crary nel suo libro “24/7”.
“Ma non dormire a sufficienza (l’ideale sarebbero 7-8 ore continuative) – prosegue Strata – va ad impattare pesantemente sulla qualità di vita e addirittura sulla sua durata, penalizzando il funzionamento quotidiano e provocando un aumento di incidenti stradali o sul lavoro. Insomma bisogna impegnarsi per dormire a sufficienza e bene. La deprivazione totale di sonno per 2-3 settimane comporta un crollo delle difese immunitarie e può portare alla morte. Non è un caso che questa rappresenti una forma di tortura delle più terribili”.
Ma cosa succede quando ci addormentiamo?
“Il sonno è caratterizzato dalla sospensione provvisoria dello stato di coscienza e da cambiamenti dell’attività elettrica della corteccia celebrale”. Ma lungi dall’essere un’attività ‘passiva’, mentre dormiamo succedono tante cose.
“Durante il sonno il cervello si rigenera e si ‘ripulisce’ – spiega il professor Strata – Da una parte si ristabilisce l’omeostasi sinaptica, dall’altra si eliminano, attraverso il sistema ‘glinfatico’, le sostanze di scarto proteiche, prodotte dal metabolismo cerebrale che, accumulandosi nel cervello, possono provocare malattie neurodegenerative, come le demenze. Uno studio pubblicato su ‘Pnas’ nel 2018 ha evidenziato che basta una sola notte di deprivazione di sonno per assistere ad un accumulo di beta-amiloide nel cervello. E se si tratta di una sola notte, il ‘danno’ è facilmente riparabile; ma se l’insonnia persiste, si producono dei danni permanenti. L’insonnia fa male anche alle future mamme. Migliorando la durata e la qualità del sonno, si riducono i parti prematuri; mentre le donne incinte che dormono male hanno una probabilità doppia di mettere al mondo figli con sei settimane di anticipo. L’insonnia deprime anche il sistema immunitario, esponendo al rischio di malattie infettive (virali in particolari) e inficiando in parte anche l’attività dei vaccini”.
Cosa fare dunque per migliorare il sonno?
“Un regolare esercizio fisico – spiega lo scienziato – migliora il sonno in tutte le fasce d’età. La sera è bene ridurre o eliminare la visione di schermi LED (iPad, telefonini, computer); la camera da letto deve essere al buio con una temperatura non superiore a 18-18,5°. È importante anche cercare di svegliarsi sempre alla stessa ora e andare a letto, quando si sente il bisogno di dormire. Se ci si sveglia durante la notte, è bene non stare a letto svegli per un periodo superiore a 30-40 minuti; meglio fare qualcosa di rilassante o piacevole fino a quando non torna la voglia di dormire. Niente pisolini durante il giorno, soprattutto dopo le 15. Non tenere orologi visibili quando si è a letto per non avere l’ansia di sapere l’ora. Naturalmente bisogna ridurre caffeina e alcolici”.
“Nel nostro cervello – prosegue Strata – c’è un orologio ‘circadiano’ a doppio quadrante: quello del ‘centro del sonno’ e quello del ‘centro della veglia’. L’adenosina è il ‘sonnifero’ fisiologico che, riducendo l’attività del centro della veglia, facilita il sonno. La sua molecola ha una struttura molto simile a quella della caffeina; ecco perché quando assumiamo un caffè andiamo a saturare i recettori per l’adenosina e il sonno non arriva: il centro della veglia resta attivo (l’emivita media della caffeina è di 5-7 ore)”.
Piergiorgio Strata
Laureato all’Università di Pisa, ha svolto la sua carriera accademica all’Università di Torino, dove è emerito di Neurofisiologia. Allievo di Giuseppe Moruzzi, è stato professore associato onorario alla Northwestern University di Chicago. In Italia è stato presidente dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze e direttore scientifico della Fondazione Ebri “Rita Levi-Montalcini”.