Conquistare la Luna per poi andare là dove nessun uomo è mai giunto prima. Cinquantasei anni dopo il primo allunaggio, la missione fantascientifica di Star Trek potrebbe diventare realtà grazie al progetto Selene di Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.
Della durata di tre anni e finanziato dall’Agenzia spaziale italiana, Selene (sigla per Sistema energetico lunare con l’energia nucleare) ha l’obiettivo di produrre energia elettrica sul suolo lunare attraverso piccole centrali alimentate da reattori nucleari.
Così da fornire una base a futuri insediamenti e utilizzarla, un giorno, anche per esplorare il sistema solare.
Ne abbiamo parlato con Francesco Lodi, 36enne coordinatore di Selene e ricercatore del laboratorio Progettazione e analisi dei sistemi nucleari Enea: “Tornare sulla Luna per rimanere: il motto della Nasa da due anni e mezzo ci ha spinto a studiare in collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana una tecnologia energetica in grado di superare i limiti di durabilità, densità e potenza di quelle attuali, come ad esempio i pannelli solari”.
Il progetto ha vinto un concorso dell’Agenzia spaziale italiana. Quali sono state le sue armi vincenti?
Credo innanzitutto l’idea del Moon energy hub, un’infrastruttura che si occupa di produrre, stoccare e distribuire l’energia elettrica per la base. E poi la scelta dei partner: Thales Alenia Space Italia, che ha grande esperienza nel settore spaziale e ha la giusta visione industriale, e il dipartimento di Energia del Politecnico di Milano per i progetti per l’utilizzo del nucleare sulla Luna.
Come si svilupperà?
In tre grandi fasi. La prima, conclusasi a fine 2024, ha riguardato la definizione dello scenario di missione, dall’analisi del contesto alle necessità energetiche da soddisfare e a tutto quanto può influire sulla progettazione dell’hub.
La successiva è invece centrata sulla progettazione del reattore nucleare e sulla valutazione di un sistema di stoccaggio dell’energia per garantirne il funzionamento anche in caso di problemi del reattore.
Ultima, la fase in cui stileremo la roadmap per portare il progetto alla maturità industriale: studiare i gap tecnologici, le capacità di produrre i componenti necessari e gli attori da coinvolgere.
Sempre dando ai vari componenti grande flessibilità in modo che possano adattarsi a eventuali variazioni di scenario.
Perché per l’uomo è importante ‘stabilirsi’ sulla Luna?
Ad esempio perché la Luna, che non ha atmosfera, è un laboratorio unico per investigare fenomeni in condizioni impossibili sulla Terra e per testare nuove tecnologie che potrebbero influire anche sulla vita quotidiana, penso ad esempio alle telecomunicazioni.
Inoltre sul suolo lunare c’è una concentrazione di materiali considerati molto rari e può essere interessante anche per le coltivazione del cibo.
Infine per Nasa e agenzie spaziali è un punto di partenza per comprendere meglio il sistema solare e un banco di prova per future missioni.
Ci vorranno decenni per arrivare all’autosufficienza di una base lunare, però l’obiettivo è anche produrre carburante in loco per i razzi diretti verso Marte o lo Spazio aperto.
I futuri insediamenti lunari saranno soltanto scientifici o anche, sognando un po’, civili?
Immagino che in una prima fase ci sarà un ritorno sulla Luna per un periodo di tempo breve, per iniziare a robotizzare la base e rendere più lunga e sicura la permanenza degli astronauti, migliorando la capacità di produzione autonoma di ossigeno, acqua, cibo… In una fase più avanzata magari si cercherà di fare della Luna anche un hub stabile per l’uomo.
Si è parlato anche di turismo lunare…
Potrebbe essere, ma soltanto quando il tragitto Terra-Luna sarà ben consolidato e sicuro. Com’è già successo per l’orbita terrestre, col tempo aumenterà la curiosità verso questi viaggi, che inizialmente saranno appannaggio dei più benestanti e poi, in un lunghissimo periodo, sempre più anche della popolazione.
Parlare di energia nucleare però suscita sempre timore.
Parlarne per la Terra è chiaramente diverso che farlo per lo Spazio. Ma anche mettere un reattore nucleare su un razzo è un’operazione complessa. Ma è giustificata, perché permette missioni impensabili con altre tecnologie, soprattutto in termini di potenza.
Prima citavo i pannelli solari, che sono un riferimento per basse potenze e medie durate. Utilizzarli per una missione di mesi o anni sulla Luna, che ha una notte lunga 14 giorni, richiederebbe un grandissimo stoccaggio energetico ed enormi quantità di tecnologie e infrastrutture da portar su con molti razzi e grande dispendio economico.
Il nucleare, invece, con la sua potenza permette di risparmiare e sbaraglia la concorrenza in durabilità, affidabilità e capacità di operare anche in condizioni molto ostili.
Com’è messa l’Italia nel settore nucleare?
Siamo stati tra i pionieri del nucleare. I nostri reattori quarant’anni fa erano tra i più innovativi per tecnologia, taglia e potenza.
Poi le cose sono un po’ cambiate ma abbiamo mantenuto forti competenze nella ricerca e nell’industria, lavorando con l’estero per la produzione dei componenti dei reattori. Quindi oggi la filiera è abbastanza solida, ha delle lacune per motivi storici però si fa assolutamente onore.
Inoltre, secondo me l’Italia è particolarmente all’avanguardia riguardo ai reattori di quarta generazione perché è stata una delle prime a investire in ricerche e impianti sperimentali che ci hanno portato a un know-how abbastanza unico a livello mondiale.