Dalla farfalla della Rai al restyling del cane nero a sei zampe dell’Eni, passando per il marchio della Tim, il quadrato rosso della Cgil e il recente rebranding di Autostrade per l’Italia, per citare alcuni dei casi più eclatanti. Dietro molti dei marchi italiani più famosi c’è la matita di Antonio Romano, architetto e designer pugliese, fondatore del network indipendente Inarea.
“Ho deciso che avrei fatto questo mestiere in terza media: mio fratello mi regalò un libro dell’artista e designer Bruno Munari, che ho letto fino a consumarne le pagine. È nata così la mia passione per il design”, racconta Romano riannodando le fila dei ricordi. “A 17 anni ho incominciato a guadagnare qualche soldo disegnando i caratteri delle insegne luminose. Poi, mentre frequentavo la facoltà di Architettura alla Sapienza di Roma, ho continuato a interessarmi di graphic design. A 23 anni ho rotto gli indugi e il salvadanaio e ho dato vita allo Studio Romano”.
I primi anni di attività sono segnati dalla progettazione di libri, cataloghi e depliant. “Ma il mio sogno – confessa – era fare dello studio una brand consultancy, che mettesse al centro di ogni progetto l’identità d’impresa”. Una visione olistica, integrata, che ha portato lo studio a lavorare a oltre 600 progetti di sistema negli ultimi quarant’anni.
Nei primi anni ‘80 arriva il primo progetto importante: allo Studio Romano viene affidata la realizzazione del logo della Cgil. Nasce così il famoso quadrato rosso, di grande impatto visivo nella sua essenzialità.
Seguiranno altri lavori degni di nota, fra cui Ilva, Finmeccanica ed Enichem. Nel 1990 la società assume il nome di Area: Antonio Romano e associati. L’attuale assetto si cristallizza nel 2004, quando prende vita Inarea, un network internazionale indipendente che crea e gestisce programmi di identità per imprese, istituzioni, prodotti e servizi.
“La creatività non è un qualcosa che ti arriva addosso durante la notte, come un’illuminazione improvvisa. Per arrivare a disegnare un logo – chiarisce il designer – noi mettiamo in campo un processo articolato. Prima intervistiamo le figure chiave dell’organizzazione, poi cataloghiamo i touchpoint, cioè i punti di contatto attraverso cui si struttura la relazione coi diversi pubblici. Confrontiamo quindi l’identità preesistente con quelle dei competitor presenti sul mercato. Da questa rilettura si estraggono attributi e valori, si delinea il nuovo profilo di posizionamento, fino alla ridefinizione di vision e mission. Il design, di fatto, arriva dopo tutto questo”.
Fra i marchi più famosi nati dalla matita di Romano, è impossibile non ricordare la farfalla della Rai, con le ali che riportano in negativo due profili umani. “In realtà quel logo ha avuto una vita relativamente breve”, ricorda. “Fu inaugurato nel Duemila e sostituito dopo appena nove anni. Eppure è rimasto impresso nella memoria degli italiani. Secondo un’indagine di mercato sul ricordo spontaneo della farfalla, per il 26% degli italiani il logo della Rai è ancora quello”.
Oggi il brand design viaggia spedito sui binari del minimalismo e dell’essenzialità. “Io appartengo a un’altra generazione: sono cresciuto col culto del visivo. Ma da ormai quindici anni a questa parte, il concetto di logo è stato stravolto dall’affermazione del digitale, oltre che dal numero enorme di marchi registrati nel mondo: oggi sono più di 50 milioni”, rimarca Romano.
“Un tempo, il marchio nella sua fisicità costituiva l’elemento centrale da cui scaturivano tutti gli altri aspetti legati al linguaggio e alla comunicazione. Nell’era dei social, il logo non è più così centrale. Ciò che conta è che il brand sia immediatamente riconoscibile nei pochi millimetri occupati sullo schermo dello smartphone. Per questo motivo è sempre più scarnificato nella forma: deve essere identificato con facilità”.
Romano si adatta con intelligenza ai tempi che cambiano, senza mai tradire i principi che da sempre ispirano il suo lavoro. “Continuiamo a ispirarci ai valori delle Lezioni americane di Italo Calvino: la leggerezza, intesa come sottrazione di peso e liberazione dalle zavorre mentali; la rapidità del pensiero e dello stile; l’esattezza come disegno dell’opera ben definito e calcolato. E poi la visibilità, la molteplicità e la coerenza.
Calvino, con grande lungimiranza e originalità, li identificò come qualità da salvare e da affidare ai posteri. Noi li abbiamo adottati come valori-guida del nostro lavoro: dei punti di riferimento irrinunciabili nell’attività quotidiana”.