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Quando l’ideologia si scontra con la realtà

Proteste in Polonia dei lavoratori del settore dell'energia contro il green deal.
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Velasco25 Articolo

Nel mondo contemporaneo l’energia è diventata una top issue in grado di far cadere i governi, oltre che chiudere le fabbriche. Non c’entrano soltanto le campagne mediatiche dell’ex icona Greta Thunberg (poi votata alla causa Pro Pal) o le italianissime e vandaliche iniziative degli attivisti di “Ultima generazione”, disposti a imbrattare monumenti millenari in nome del dio Ambiente.

Non c’entra soltanto il dogma antiscientifico di un paradiso intangibile, la Natura, minacciata dalla presenza di una specie umana corrotta. Come sanno i nostri nonni che lavoravano la terra, la natura è piena di insidie per l’essere umano. La natura, senza l’intervento umano, non sarebbe in grado di produrre ciò che produce. In natura esistono veleni che annientano l’uomo (e gli animali).

L’intervento umano ha migliorato enormemente l’ambiente in cui viviamo, rendendolo sempre più ospitale, sano e fertile. Se un tempo in una famiglia un figlio su due moriva appena nato, oggi gran parte delle malattie sono state debellate grazie alla scienza.

La tendenza dei nostri giorni a una rimodulazione delle politiche climatiche, da Donald Trump in giù, ha molto a che fare con la rivalutazione del ruolo dell’umano. Il presidente americano non è un “negazionista”, ma come un’ampia schiera di autorevoli scienziati ritiene che il clima sia sempre cambiato nel corso dei millenni e che il “global warming” non sia di origine esclusivamente antropica, cioè dovuto all’uomo.

Trump sbertuccia i profeti dell’Apocalisse climatica, ne contesta le previsioni nefaste e ritiene, in soldoni, che l’Occidente non debba impoverirsi pensando ai ghiacciai che si sciolgono. Elemento non secondario: se l’Europa e gli Usa investono massicciamente nelle politiche “green”, altri competitori internazionali, Cina in testa, traggono invece enorme vantaggio dal “Green New Scam” (truffa verde, Trump dixit), infischiandosene dei limiti alle emissioni di CO2.

Da qui la decisione americana di uscire, per la seconda volta, dagli Accordi di Parigi sul clima, di spingere sul “drill, baby, drill” e di abolire i sussidi per i veicoli elettrici (“gli americani devono poter scegliere liberamente l’auto da acquistare”).

Anche l’Europa, che non è una federazione né un attore politico coeso, sembra voler rimediare all’approccio ideologico degli ultimi anni. Davanti alla crisi dell’industria automobilistica continentale e al rischio di guerre commerciali con gli Usa, la Commissione europea ha aperto alla possibilità di rivedere il divieto assoluto di auto a benzina e diesel oltre il 2035.

Si apprende che oltre quella data il mercato delle auto elettriche potrebbe estendersi anche alle ibride plug-in e ai veicoli elettrici con range extender, ossia quelli con un motore ausiliario a benzina per ricaricare la batteria.

Se in Germania una impopolare legge sulle pompe di calore ha determinato la crisi di consenso per i Verdi e per l’intero governo, gli omologhi europei e i burocrati di Bruxelles dovrebbero riflettere seriamente sul rovescio della medaglia verde: nessun cambiamento può avvenire sulla testa dei cittadini. Serve pragmatismo, prima di tutto.

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