La segnalazione di casi umani di influenza aviaria preoccupa gli Stati Uniti. Il 13 dicembre scorso i Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) hanno confermato un grave contagio da H5N1 in Louisiana. Il paziente, ricoverato in ospedale, aveva avuto contatti con uccelli malati e morti allevati nel proprio cortile. Nello stesso periodo, in California è stato dichiarato lo stato di emergenza per un’epidemia di influenza aviaria che ha colpito i bovini da latte. Qualche settimana prima, l’8 novembre, un adolescente della Columbia Britannica era finito in ospedale in condizioni critiche a causa dello stesso virus.
Influenza aviaria: dal nuovo ceppo al latte crudo, cosa sta succedendo
Come reagire a queste novità e che rischi ci sono nel nostro Paese? Dopo un’analisi fatta a partire dalle sequenze genomiche, un team di ricercatori italiani sottolinea come la situazione vada monitorata con attenzione, ma senza allarmismi.
A firmare il lavoro, in pubblicazione su ‘New Microbes and New Infections’, tre nomi noti ai lettori di Fortune Italia: l’epidemiologo Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia del Campus Bio-Medico di Roma, insieme al collega del Campus Francesco Branda e a Fabio Scarpa dell’Università di Sassari, che da tempo seguono l’evoluzione del patogeno.
Mutazioni e varianti
Fino al 20 novembre sono stati registrati 64 casi umani di influenza aviaria nelle Americhe. Gli scienziati di tutto il mondo sono preoccupati per il rischio che il virus possa mutare e trasmettersi più facilmente tra le persone. E questo anche se, al momento, non ci sono segnali concreti di questa possibilità.
“Le analisi genetiche hanno confermato che i casi umani appartengono a una variante già nota, l’H5N1 clade 2.3.4.4b, che finora si è diffusa soprattutto tra gli uccelli. Tra i casi recenti, quello del ragazzo canadese – sottolineano i tre ricercatori italiani – ha attirato particolare attenzione”. Le analisi hanno rilevato una mutazione del virus in una proteina (emagglutinina), che potrebbe facilitarne il legame con le cellule umane.
“Questa modifica, però – assicura a Fortune Italia Massimo Ciccozzi – da sola non è sufficiente a rendere il virus trasmissibile tra persone”. Gli esperti sottolineano che si tratta probabilmente di un evento isolato, dovuto al contatto diretto con animali infetti.
I rischi
Attualmente insomma il virus rimane confinato agli uccelli selvatici, soprattutto nella zona del Pacifico nord-occidentale. “Non ci sono segnali di una trasmissione sostenuta tra esseri umani, ma il monitoraggio resta essenziale”, evidenziano gli scienziati, spiegando che studiare le mutazioni genetiche del virus è fondamentale per prevenire possibili emergenze. Lo abbiamo visto con Covid-19: questo tipo di monitoraggio è davvero prezioso per non ritrovarsi a inseguire l’evoluzione dei patogeni. Certo, Ciccozzi ricorda ancora una volta le insidie legate agli allevamenti intensivi (non solo quelli dei volatili).
Per ora comunque – al di là dei casi registrati nei bovini da latte – gli uccelli sono i principali ospiti del virus, e il rischio per gli esseri umani resta basso. “Tuttavia, tenere sotto controllo i cambiamenti genetici e continuare a sequenziare i casi, sia umani che animali, è la strategia migliore per prevenire future sorprese”, raccomandano gli autori.