“Gli assassini non sono mai normali. Questa normalità di cui spesso parliamo è una normalità che non esiste, nel senso che queste persone molto disturbate danno segnali fin dall’infanzia. Anche parlando del caso di Filippo Turetta, visto il pregresso con i 230 messaggi al giorno, l’essere molto introversi e la dipendenza affettiva, possiamo dire che i segnali c’erano e che sono poi sfociati in un’aggressività che è diventata violenza”.
A dirlo è Antonella Elena Rossi, criminologa e psicologa che analizza con Fortune Italia gli ultimi sviluppi del processo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, con la condanna all’ergastolo di Filippo Turetta dopo circa sei ore di camera di consiglio, da parte dei giudici della Corte d’Assise di Venezia. Che non hanno riconosciuto le aggravanti dello stalking e della crudeltà.
Gli indicatori
In generale, precisa Rossi, “gli indicatori sono solitudine totale, mancanza di relazioni, bisogno di essere sempre protetti dai genitori. Avere genitori iper-protettivi, che non ti lasciando cadere: queste persone non accettano il no, il fallimento, l’essere respinte. Sono ragazzi che non hanno un’adesione alla realtà della vita. Il messaggio ai genitori, dunque, deve essere quello di accettare che i figli possano cadere, fare errori, sperimentare anche delusioni“. Altrimenti, aggiunge la psicologa, “alla prima difficoltà il rischio è quello di esplodere e andare in pezzi”.
Personalità fragili e controllo dell’aggressività
“Poi ci sono personalità con fragilità importanti che vengono dall’isolamento e dalla mancanza di relazioni. Nel caso di Filippo Turetta – continua Rossi – si vede anche dal comportamento non verbale che tiene a bada la sua aggressività. E l’aggressività, quando viene fuori, diventa crudeltà”.
Ecco allora che, alla luce della condanna all’ergastolo per aver premeditato l’omicidio di Giulia Cecchettin, il mancato riconoscimenti dello stalking e della crudeltà “mi sembra davvero molto strano – ammette Antonella Elena Rossi – Ricordo che siamo ancora al primo grado di giudizio. Leggeremo le motivazioni della sentenza, ma credo che il giudice abbia tenuto conto della giovanissima età. Nelle neuroscienze ci sono ricerche che ci dicono come fino ai 25 anni c’è un problema di controllo dell’aggressività e di responsabilità: la corteccia prefrontale ancora non è matura e i giovanissimi fanno fatica a capire le conseguenze drammatiche dei loro gesti”.
“Tra sessanta giorni leggeremo le motivazioni e capiremo perchè, nel caso di Filippo Turetta, i giudici dopo circa sei ore di camera di consiglio hanno deciso così. Ma devo dire – prosegue la psicologa – che questo ci ha meravigliati un po’ tutti, perchè le ricostruzioni hanno evidenziato che crudeltà e stalking ci sono state”.
Niente attenuanti generiche
La giuria presieduta dal togato Stefano Manduzio non ha riconosciuto le attenuanti generiche (la giovane età e l’assenza di precedenti), stabilendo una provvisionale complessiva di 760mila euro per le parti civili – 500mila per il padre Gino, 100mila ciascuno per i fratelli Elena e Davide, 30mila euro a testa per lo zio paterno Alessio e la nonna Carla Gatto – e stabilito la pubblicazione della sentenza anche nel Comune di Vigonovo, dove viveva la vittima.
Giovani uomini che odiano le donne
“Abbiamo perso tutti come società. Nessuno mi ridarà indietro Giulia, non sono né più sollevato, né più triste rispetto a ieri. È chiaro che è stata fatta giustizia, ma dovremmo fare di più come esseri umani. Penso che la violenza di genere non si combatta con le pene, ma con la prevenzione”, ha detto parlando alla stampa Gino Cecchettin, padre della giovanissima vittima, laureanda in Ingegneria biomedica, impegnato da oltre un anno contro il fenomeno del femminicidio.
Ma cosa fare in concreto per mettere un freno ai femminicidi in Italia e crescere una generazione diversa di giovani uomini ? “Aggressività, fretta, atteggiamento sprezzante che pretende tutto dagli altri. Sono d’accordo con Gino Cecchettin: come società abbiamo perso tutti, perchè non riusciamo più ad essere una comunità solidale in cui le amicizie ci possono salvare. Se ci rendiamo conto che qualcosa non va nella famiglia, tendiamo a tenere tutto dentro. Invece le famiglie hanno bisogno di aiuto – dice Rossi – di progetti nelle scuole. Non parlo di educazione sessuale o sentimentale. Occorre aiutare i ragazzi a vivere in armonia, grazie a una comunità che insegni loro il dialogo e il pensiero critico, uscendo dall’isolamento dei social“.
Insomma, anche “il territorio si deve muovere, aprendo centri di aggregazione in cui i ragazzi ricomincino a stare insieme in maniera fisica. L’amore si impara con la relazione e il contatto fisico. L’amore virtuale invece ci porta all’interno di una realtà cruda, a una sola dimensione e senza nessuna emozionalità”, avverte la psicologa.