Accanto al tremore ci sono oltre 402 sintomi che si combinano tra di loro in modo differente nei pazienti con Parkinson. Una malattia che impatta anche su umore, sonno e digestione, rivoluzionando la vita. Ad accendere i riflettori sui tanti volti di questa malattia neurodegenerativa, la cui prevalenza è raddoppiata negli ultimi 25 anni, è la nuova campagna istituzionale della Confederazione Parkinson Italia.
Lanciata in occasione della Giornata Nazionale dedicata alla malattia del 30 novembre, con il supporto non condizionante di Zambon, ha come protagonisti gli stessi pazienti: Carla che si dedica all’arrampicata sportiva, Paolo che ha imparato a volare ovunque con il suo simulatore, Valentina che è diventata mamma e Massimiliano che diffonde musica e idee nuove alla radio.
Le testimonianze di reazione di Carla, Paolo, Valentina e Massimiliano sono immortalate nelle fotografie di Giovanni Diffidenti (sotto) e sono protagoniste dei soggetti pubblicitari e dello spot sociale in onda nel 2025. “Una malattia che è cento malattie”, ancora poco conosciuto, ma che non spegnere la vita e i sogni, come ricorda uno spot sociale che andrà in onda nel 2025 con le voci di Claudio Bisio e Lella Costa.
Oltre i luoghi comuni
“Ancora oggi c’è molta confusione sul Parkinson e si pensa che le sue uniche conseguenze siano i tremori, i problemi di movimento e di equilibrio. False convinzioni con cui io stesso mi sono scontrato quando – dopo la diagnosi – ho sperimentato le tante e diverse manifestazioni della malattia”, commenta Giangi Milesi, presidente Confederazione Parkinson Italia.
“Eppure, in questa molteplicità di situazioni c’è un minimo comune denominatore: la voglia di reagire e di perseguire i proprio obiettivi di vita e le proprie passioni. Da qui la scelta di dar vita a una campagna istituzionale che grazie al racconto di storie vere di reazione possa rivelare i tanti, diversi volti del Parkinson e sfatare così i luoghi comuni che lo caratterizzano”.
Il movimento, la diagnosi e la terapia
La malattia di Parkinson è un disturbo del movimento con tre sintomi fondamentali: il rallentamento e la povertà di iniziativa motoria (bradicinesia); il tremore (prevalentemente a riposo) e la rigidità muscolare. Inizia tipicamente in età adulta (è la seconda malattia neurodegenerativa più comune), dopo i 50 anni, anche se non mancano forme a esordio precoce.
“È una malattia progressiva – sottolinea a professoressa Anna Rita Bentivoglio, direttrice della UOS Disturbi del movimento di Fondazione Policlinico Gemelli Irccs e Associata di Neurologia Università Cattolica, campus di Roma – ma con il nome ‘malattia di Parkinson’ si indicano tante forme diverse; per questo, quando noi neurologi comunichiamo la diagnosi, raccomandiamo al paziente di non abbeverarsi a Internet perché lì può trovare delle storie che non gli apparterranno mai. Essendo un disturbo del movimento, la terapia mira a ripristinare una neurotrasmissione che si è ridotta, somministrando farmaci a base di levodopa. Ma bisogna lavorare anche per ripristinare il movimento facendo muovere il paziente, con interventi riabilitativi nelle diverse fasi della malattia”.
L’attività fisica è fondamentale
“Anche i terapisti occupazionali e i logopedisti con una formazione specifica per il Parkinson devono intervenire su questi pazienti. La riabilitazione è una terapia complementare non farmacologica. Chi fa sport ad elevata intensità non solo ha un beneficio sintomatico, ma promuove la liberazione nel cervello di fattori trofici, che migliorano alcuni aspetti delle malattie neurodegenerative e rallentano l’invecchiamento”, aggiunge la specialista.
Insomma, come ricorda Paolo Calabresi, Ordinario di Neurologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della Uoc di Neurologia del Gemelli, ”l’approccio al paziente con malattia di Parkinson deve essere olistico. Non c’è solo la pillola: intorno a questa ci deve essere qualcuno che integra e facilita l’interazione del paziente con l’ambiente circostante, impegnandolo in interventi che non mirano solo a stare insieme agli altri per evitare la solitudine. È importante informare i pazienti e i caregiver di quanto sia fondamentale l’attività fisica, soprattutto nelle fasi iniziali di malattia di Parkinson”.