“Ero sicuro che avremmo vinto”. George Guido Lombardi, immobiliarista e già consulente di Donald Trump per la comunicazione, nonché suo amico e vicino di casa, commenta così il trionfo del tycoon alle ultime elezioni presidenziali. La sera del 5 novembre era a Mar-a-Lago a festeggiare i risultati elettorali e in quell’occasione ha incontrato anche Elon Musk. Il legame con Trump, però, inizia molto tempo prima.
Quando ha conosciuto Donald Trump?
È stato nel ’94, quando ho comprato un appartamento al 63esimo piano della Trump Tower, a Manhattan. Lui era già famoso e abitava lì, tre piani più su. Ogni tanto ci vedevamo in ascensore. A giugno di quell’anno l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni venne invitato a Washington dal direttore dell’FBI: prima passò da New York e allora decisi di presentargli Trump, quindi invitai il tycoon a casa mia.
Vive ancora in quell’appartamento?
Ora ne ho un altro, sempre nella Trump Tower, al 62esimo piano, ma non ci vado quasi mai. New York ormai è un disastro, quindi vivo in Florida per circa dieci mesi all’anno e il resto del tempo lo trascorro in Italia.
La notte della vittoria del tycoon infatti si trovava a Mar-a-lago. Ci racconta quei momenti?
Ero sicuro che avremmo vinto, ma avevo comunque paura di un’eventuale dilatazione dei tempi per questioni di disordini o riconteggi, se avessimo vinto di poco. Invece, viste le percentuali, la soddisfazione è stata enorme e ci ha ripagati di tutto il lavoro fatto. Io sono andato prima al club per conoscere Musk, ma non ho cenato con lui. Poi mi sono spostato al Convention Center, da dove ho raccontato la notte ai giornalisti italiani.
A proposito di Elon Musk, che ruolo avrà in questa amministrazione Trump 2.0?
Penso proprio che il Dipartimento di efficienza governativa – il ‘Doge’a cui lo stesso Musk ha già dato il nome – ci sarà eccome. Il suo passaggio nella nostra squadra è stato fondamentale, non dimentichiamo che lui prima era democratico. Per Trump è importante avere un alleato con una visione così simile alla sua in quanto a contenuti. Sono entrambi uomini d’azione, che sognano in grande, e poi fanno.
Nel suo victory speech Trump ha definito quello repubblicano il partito del “common sense”, del “buon senso”. È così anche secondo lei?
Non è solo una dichiarazione, è un fatto. L’amministrazione Trump sarà una sorta di governo delle larghe intese, composto anche da ex democratici come lo stesso Musk ma anche Robert Kennedy o Tulsi Gabbard. Il programma sarà interamente rivolto ai lavoratori delle classi medio-basse più che agli interessi delle multinazionali. L’economia andrà bene e anche dal punto di vista finanziario la situazione è già molto buona, con le Borse in rialzo subito dopo la vittoria di Trump. Questo significa che ci saranno investimenti. Alcune società hanno già chiuso gli stabilimenti in Cina e per noi italiani questi sono segnali importanti.
Spostandoci per un momento in Europa, oggi il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha affermato che l’Ue “dovrebbe prendere le misure di se stessa” e anche Mario Draghi ha ricordato agli europei che Trump proteggerà l’industria americana. L’Ue deve temere i dazi?
A un certo punto l’Unione europea dovrà sedersi a un tavolo e trattare con Trump, su questo non c’è dubbio. La situazione italiana però è diversa: i dazi alla Cina potrebbero favorirci, o comunque non ostacolarci. Per l’Italia non ci sono cattive notizie, anzi. Gli investimenti statunitensi non andranno in Francia, nel Regno Unito o in Germania, ma da noi. E poi Giorgia Meloni è in ottimi rapporti con Elon Musk, si sta muovendo bene.
Veniamo alla politica estera. Sempre nel primo discorso dopo la vittoria, Trump ha detto: “Fermeremo le guerre”. Cosa si aspetta da lui in Ucraina e in Medio Oriente?
Che farà quello che dice. Ci sarà un rapido disimpegno dal conflitto russo-ucraino, penso nel giro di sei mesi. E anche in Medio Oriente si arriverà presto alla soluzione di quella che ormai è una guerra tra Israele e Iran.
Il neopresidente ha potuto contare sul sostegno della moglie Melania, nonostante tutto rimasta al suo fianco. Che ruolo ha avuto la First lady in questa vittoria?
Melania si è sempre schierata a sostegno dei temi che di solito interessano le First lady, muovendosi attivamente a sostegno delle donne e dei bambini. Ma c’è di più. Per molte cittadine americane è stata una sorta di esempio. Ha incarnato quelli che definiremmo ‘valori tradizionali’ ed è rimasta vicina suo marito. Visto il numero di donne che ha votato per Trump, direi che questo impegno è stato riconosciuto.
Trump ha vicino anche altre donne in ruoli di primo piano, tra cui l’abilissima direttrice della sua campagna Susie Wiles, già nominata capo dello staff della Casa Bianca. Cosa pensa di questa scelta?
Non la conosco personalmente, ma penso sia una scelta eccezionale. Mi sembra una persona di carattere e se lavora con Donald Trump da tutto questo tempo sicuramente avrà sicuramente delle doti eccellenti.
Moltissime donne hanno votato per i Repubblicani, mentre Kamala Harris, nonostante la questione dell’aborto, non ha sfondato neanche tra l’elettorato femminile. Se lo aspettava?
Sì, me lo aspettavo. I Democratici e i media liberal hanno dato troppa importanza alla questione dell’aborto, costruendoci attorno un’intera campagna. Con la sentenza della Corte suprema che rimette ai singoli Stati le decisioni in tema di aborto, però, la questione per molte donne era già superata. E il voto lo ha dimostrato.
Infine, la crescita di consensi anche tra black e latinos.
Chi vive da anni negli Stati Uniti – e con fatica è riuscito a integrarsi – è stato mosso dalla paura di flussi migratori incontrollati che avrebbero colpito per prime proprie le minoranze. Questo è stato un altro grande fallimento dei Democratici. Tra gli afroamericani c’è una forte rabbia per l’assistenza agli immigrati irregolari, mentre molti latinos vengono da Paesi che hanno vissuto il Comunismo e quindi hanno visto in Trump una reale possibilità di cambiamento.