Non serviva l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa per esserne consapevoli: da anni si parla delle potenzialità del digitale ma meno di come ci influenzi nel profondo. Oggi per la prima volta, una ricerca – che promette di essere la più grande di sempre – prova a far luce sull’impatto delle tecnologie sul nostro benessere e sulle nostre vite.
Cisco e Ocse hanno lanciato il Digital Well-being Hub, per studiare “in modo olistico” l’impatto della tecnologia sul nostro benessere, rispondendo a domande per le quali non abbiamo ancora risposte, perlomeno non provenienti da un campione così ampio. La stima infatti, attraverso il sondaggio ospitato dall’hub creato da Ocse e Cisco, è di arrivare a più di 100mila ‘osservazioni’ pubblicando i primi risultati il prossimo anno. Una volta raccolto un numero sufficiente di risposte al sondaggio, l’OCSE analizzerà e sintetizzerà le esperienze delle persone (i dati soggettivi) con le ricerche OCSE esistenti (dati oggettivi come questi) per fornire quella famosa visione “olistica” del benessere digitale voluta da Ocse e Cisco.
Gli effetti della trasformazione digitale sul benessere delle persone verranno analizzati raccogliendo dalle persone partecipanti – in un sondaggio che si può compilare in appena 10 minuti – informazioni sulla soddisfazione per la propria vita, la salute mentale, l’etica e gli strumenti di AI, le competenze digitali, la sicurezza informatica, l’impegno civico, la consapevolezza sul clima, le connessioni sociali.
L’idea di un hub del genere è nata due anni fa, hanno raccontato a Fortune Italia Guy Diedrich, SVP and Chief Innovation Officer di Cisco, e Romina Boarini, direttore del centro su Well-being, inclusion, sustainability and equal opportunity (WISE) dell’Ocse. Il Digital Well-being Hub – lanciato durante il settimo Forum mondiale sul wellbeing dell’Ocse, a Roma – si basa proprio sul Well-being Framework dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
“Ascolteremo direttamente le persone per comprendere meglio l’interazione tra tecnologia e vita”, dice Boarini. “Fino al 14% delle persone che vive nei paesi OCSE si sente sola, un fenomeno che potrebbe essere esacerbato dall’uso di strumenti digitali. Grazie alla nostra collaborazione con Cisco, esploreremo le conseguenze inattese di un uso eccessivo o problematico del digitale e capiremo come le persone vivono nel mondo digitale”. L’augurio è che i risultati dello studio aiutino a formare nuove politiche, anche entrando nelle metodologie statistiche degli istituti nazionali, come l’Istat in Italia.
Gli obiettivi del sondaggio
Tra le domande del sondaggio, si cercherà di capire in che modo non avere competenze digitali potrebbe limitare le opportunità di lavoro. Oppure: le incertezze sulla tecnologia potrebbero spingere a non interagire in modo responsabile sui social media? Come potrebbero ostacolare l’accesso alla formazione online, a servizi sanitari o impedire l’impegno civico?
Si tratta, in sostanza, della prima indagine trasversale sulla relazione tra tecnologie digitali e benessere individuale in un’epoca in cui AI e tecnologia hanno cambiato il modo in cui interagiamo l’uno con l’altro – perlomeno per due terzi della popolazione mondiale: non lasciare indietro il terzo che rimane indietro (e che attualmente viene definito ‘unconnected’) è un altro punto fondamentale, secondo Diedrich, che ricorda come anche se entro il 2030 altri 500 miliardi di oggetti in tutto il mondo saranno connessi, non permettere un accesso universale alle tecnologie costituirà un peso enorme per il progresso tecnologico. Intanto, chi ha già accesso a rete e tecnologia, non sempre può dire di trarne solo effetti benefici.
Un problema di fiducia
Per ora, dalle ricerche che già abbiamo a disposizione, sappiamo che addirittura il 40% degli adulti dei paesi OCSE non ha competenze digitali di base: significa che quella fetta enorme della popolazione non sa esplorare in modo sicuro gli ambienti digitali, comprendere il tema della privacy o le implicazioni per la salute mentale delle attività online. Inoltre la metà dei lavoratori dei Paesi Ocse teme che i dati raccolti nelle applicazioni di Intelligenza Artificiale possano distorcere le decisioni che li riguardano.
C’è, quindi, un problema di fiducia verso la tecnologia, spiegano Boarini e Diedrich, che per l’accesso al digitale è fondamentale. “La fiducia è il vero denaro dell’era digitale, non i dati”, dice il manager di Cisco.
Un osservatorio oltre le contraddizioni del digitale
“Il benessere digitale è sfaccettato e interconnesso, serve una comprensione olistica per vivere in modo responsabile nell’era dell’AI, e in quello che verrà poi” spiega Diedrich. “Non abbiamo, però, mai esaminato in modo completo l’impatto della tecnologia sul nostro benessere considerando vari aspetti della vita di ogni giorno, come l’educazione, la salute, il lavoro. Le informazioni che raccoglieremo dal Digital Well-Being Hub aiuteranno le persone ad avere una relazione più sana con la tecnologia e a creare un futuro digitale più sostenibile, sicuro e inclusivo. Capendo come la tecnologia influisce sul nostro stare bene potremo liberare il suo pieno potenziale”.
Di fatto dal sondaggio emergerà un osservatorio che cerca di andare oltre le contraddizioni del mondo digitale (come l’AI, tra miglioramento della produttività da una parte e bias di genere dall’altra) e punti meno chiari, come gli effetti di un uso eccessivo delle tecnologie.
Gli ‘Agenti AI’ sono tra noi, ma dobbiamo capire come coesistere: intervista a Luciano Floridi