Diciamolo: piacere è un bisogno di tutti. Magari per qualcuno assume i contorni del vero e proprio narcisismo, con connotazioni psicologiche ancor più complesse. Ma non ci sono dubbi che viviamo nella necessità di essere apprezzati dagli altri per quanto facciamo o diciamo (per non parlare della maniera di presentarci).
Se un tempo, tuttavia, l’apprezzamento (e la conseguente gratificazione per il singolo) nascevano dalla conoscenza diretta, oggi a mediare ci sono i social. E così può essere gratificante un “like”, così come può risultare difficile da digerire un “dislike”. Questi meccanismi vanno gestiti. E con intelligenza. Altrimenti si rischia di diventare proni ai giudizi a distanza.
Anche e soprattutto se si parla di giovani, nati e cresciuti nel mondo social, con esperienze che vengono mediate (se non addirittura plasmate) da queste modalità di comunicazione e relazione. E proprio sui giovani, l’impatto del “mi piace” potrebbe diventare basilare in chiave psicologica. Molto di più che per gli adulti. Per questo occorre maneggiare con cura la situazione. A dirlo è una ricerca coordinata da esperti dell’Università di Amsterdam che ha utilizzato dati reali sui social media per dimostrare che i giovani potrebbero effettivamente essere più sensibili al feedback sui social media (mi piace) rispetto agli adulti. E che ciò ha un impatto diretto sul loro coinvolgimento e sul loro umore.
Stando alle valutazioni degli esperti, apparse su Science Advances, appare chiaro come il target su cui porre massima attenzione è quello degli adolescenti. Per loro i social possono diventare un meccanismo di intermediazione che fa riflettere sull’importanza (e sulla difficoltà) di instaurare rapporti personali diretti.
I social media, insomma, potrebbero essere fonte di ansia nei giovani spingendoli a continuare a usare le App più di quanto vorrebbero in modo da ottenere sempre più Like.
Gli esperti segnalano come l’adolescenza sia un periodo di sviluppo durante il quale sia la sensibilità alla ricompensa che quella al rifiuto possono risultare particolarmente significativi, tanto da essere correlate (come accade nello studio) ad un aumento del comportamento impulsivo e dei sintomi depressivi.
Sono tre, sul fronte scientifico, le valutazioni che hanno portato a disegnare questo percorso. E a porre specifici interrogativi. In primo luogo sono stati esaminati dati di post Instagram reali osservati per catturare la sensibilità ai ‘Mi piace’. In secondo luogo, con uno studio sperimentale si sono imitate le caratteristiche delle piattaforme di social media per tracciare i cambiamenti di umore.
Infine, attraverso tecniche di neuroimaging, si è visto che ci sarebbero anche risposte “organiche” a queste stimolazioni. Pensate che la sensibilità al feedback dei social media è correlata alle differenze individuali nel volume dell’amigdala. Presi insieme, i tre studi presentano quindi prove convergenti che i giovani potrebbero effettivamente essere più sensibili al feedback dei social media rispetto agli adulti.
I teenager, quindi, rischiano di essere eccessivamente “sensibili” ai giudizi dei social. Sia nel bene che nel male. E, a volte, si può creare un paradosso. Mentre ricevere un Like sembra generare un senso di connessione e può migliorare l’umore dei giovani, questo risultato positivo potrebbe anche creare una tale attrazione verso le app da portare a un uso eccessivo problematico. Ovvero indurre alla ricerca di questo meccanismo di gratificazione. D’altro canto, data la loro sensibilità, i giovani smetterebbero di usare le piattaforme prima degli adulti se non ricevessero ‘Mi piace’, ma questo potrebbe anche portare ad un impatto negativo sull’umore.
Come comportarsi, in questa dicotomia di pensiero e psiche? Le proposte dello studio sono chiare. In primo luogo, occorre non puntare solamente sui like, ma generare un senso di coinvolgimento più significativo di quello affidato ad una semplice digitata sulla tastiera. In questo senso, il compito maggiore è per le piattaforme social. Ma non basta.
Per giovani, diventa fondamentale creare conoscenza ed attenzione nei confronti della vita “online”, per assicurare una regolazione emotiva specifica. E questo è compito di tutti.