Il 7 agosto scorso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati ha pubblicato il Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla legge sul lobbying iniziata a marzo 2023. Tuttavia, mentre in Commissione si discuteva riguardo agli annosi dilemmi su cosa fosse lobbying e chi fossero i lobbisti, in questi 18 mesi sono state portate avanti la riforma sull’autonomia differenziata e quella sul premierato che, difatti, ridefiniscono la mappa dei processi decisionali e quindi un cambio del campo da gioco.
Cosa emerge dal Documento conclusivo e quale sarà l’effetto delle nuove riforme? Abbiamo chiesto il parere della professoressa Carla Bassu, ordinaria di Diritto pubblico comparato all’Università di Sassari e presidente della Scuola di Politiche.
Professoressa, lei è stata una componente del gruppo di costituzionalisti che ha supportato la Commissione durante l’indagine conoscitiva, quando potremo leggere il testo della proposta di legge?
Immagino che questa situazione dipenda in gran parte dalle priorità politiche. Dal nostro lato, abbiamo svolto il nostro compito fornendo i riferimenti di diritto comparato e affrontando le questioni centrali, come ad esempio la definizione dei soggetti da regolamentare. Ora spetta alla politica compiere le scelte necessarie, orientando il processo verso soluzioni che rispondano alle esigenze del sistema nel suo complesso.
A proposito di scelte e soggetti da regolare, nel testo vi è un passaggio interessante, cito: “…più controversa è risultata la possibilità di ricomprendere nella definizione di rappresentante di interessi i sindacati, Confindustria, le confessioni religiose o le associazioni di enti pubblici, come l’Anci”. Lei cosa ne pensa?
Questa scelta rappresenta un caso isolato nel panorama del diritto comparato. Indipendentemente dal modello adottato, un ordinamento giuridico non dovrebbe operare tali distinzioni, poiché il principio di base è che la rappresentanza di interessi, o l’attività di lobbying, è intrinsecamente funzionale alla democrazia. La pluralità di voci e di interessi, infatti, è una componente essenziale del dibattito pubblico e del processo decisionale in una democrazia matura. Tuttavia, in Italia si tende a presumere che enti come Confindustria siano legittimi e positivi perché rappresentano interessi collettivi, mentre si guarda con sospetto ai privati che portano avanti interessi di parte. Questa visione è fuorviante.
Quello che dice è confermato dalle parole successive “…che hanno rapporti consolidati con Parlamento e Governo”. Quindi resta il problema di fondo, non è tanto cosa si faccia ma da chi viene fatto?
La problematica emerge nel momento in cui si presume che l’interesse debba necessariamente essere di natura particolare, negativa o in opposizione a terzi. Rappresentare i propri interessi non implica necessariamente cercare di ottenere vantaggi indebiti o agire a proprio esclusivo beneficio ma, al contrario, ciò consente di favorire un processo decisionale che tenga conto dei vari interessi, anche quelli potenzialmente in contrasto. Condivido pienamente l’idea che l’attenzione debba essere focalizzata sull’oggetto dell’attività, ovvero una rappresentanza completamente trasparente e legittima, piuttosto che sulla mera identificazione dei soggetti che la esercitano. Spesso, infatti, si tende a operare distinzioni che non sono necessariamente giustificate e, pertanto, possono risultare tendenziose, suggerendo implicitamente che alcuni interessi siano meritevoli di essere perseguiti in virtù della caratura o della statura dei soggetti che li promuovono, a differenza di altri ritenuti “di livello inferiore”. Questo approccio non è conforme a una visione democratica equilibrata e inclusiva.
A proposito di trasparenza nei rapporti tra pubblico e privato, periodicamente si torna a parlare di finanziamento pubblico ai partiti. Qual è la sua visione in merito?
Non possiamo ignorare che la politica abbia dei costi; pertanto, se vogliamo promuovere una politica intesa in senso positivo – dove “politica” è l’espressione dell’impegno per il bene pubblico e per gli interessi collettivi – è fondamentale che essa possa contare su finanziamenti adeguati. Tuttavia quando si parla di finanziamenti alla politica si parte dal presupposto che chi intenda finanziare un partito abbia intenti criminali. L’unico strumento efficace per prevenire tali eventualità è garantire la totale trasparenza del processo con modalità pienamente tracciabili e trasparenti, rendendo evidente il flusso di denaro.
Ciò si potrebbe ottenere con una regolamentazione essenziale e minimale, che incentivi la trasparenza più che adottare un approccio punitivo. Esattamente il medesimo approccio necessario per affrontare il tema delle lobby. Difatti, non dobbiamo inventare nulla di nuovo. Basterebbe osservare gli altri sistemi (dove il finanziamento trasparente della politica semplifica notevolmente il quadro complessivo) e procedere con una politica di incentivazione del rispetto delle regole e della trasparenza nei processi di finanziamento che si adatti al nostro sistema. Così l’intero processo risulterebbe meno ambiguo e potenzialmente pericoloso.
Si sta parlando tanto dell’introduzione dell’autonomia differenziata, che effetto avrebbe su questo settore?
L’effetto di una simile norma sull’autonomia differenziata sarebbe di tipo dispersivo, genererebbe cioè una ulteriore parcellizzazione e una complicazione dal punto di vista burocratico. Premesso che, da costituzionalista, non mi oppongo all’autonomia né tantomeno all’autonomia differenziata, è però evidente che questo testo di legge presenta criticità rilevanti di tipo costituzionale. In particolare, destano preoccupazione il numero e la rilevanza delle materie che potrebbero essere devolute alle Regioni, molte delle quali sono strategiche per il Paese nel suo complesso.
Dal punto di vista di chi si occupa di rappresentare interessi, la presenza di interlocutori diversi e normative regionali diversificate complica ulteriormente il quadro. Questo rende più difficoltosa una rappresentanza efficace degli interessi e, in alcuni casi, anche l’esecuzione materiale di determinate attività. Pensiamo, ad esempio, a un’azienda di trasporti, o a un operatore nel settore dell’energia o delle comunicazioni, che si trova a dover interagire con venti enti regionali diversi, ciascuno con normative specifiche. Un simile scenario avrebbe inevitabilmente un impatto negativo sull’efficienza del sistema.
Questa frammentazione normativa non solo complicherebbe ulteriormente il contesto burocratico, già di per sé complesso in Italia, ma moltiplicherebbe anche i centri decisionali, aumentando i problemi legati alla gestione amministrativa. In un Paese come l’Italia che pecca di iperburocratizzazione dei processi si creerebbe ulteriore complessità, allontanandoci da un obiettivo di efficienza complessiva del sistema.
Per tale ragione ritengo che prima di una riforma dell’autonomia differenziata, sarebbe necessario adottare una norma organica sulla rappresentanza di interessi a livello nazionale che funga da riferimento coerente e uniforme anche per le Regioni.
Restando sul tema riforme, qual è il suo pensiero sul premierato?
Il Parlamento ha già assunto un ruolo marginale nel panorama decisionale del Paese. Questo rafforzamento del potere esecutivo è una realtà consolidata e il centro del potere decisionale si è progressivamente spostato dall’organo parlamentare a quello esecutivo. Infatti, la stragrande maggioranza delle norme attualmente adottate si concretizza attraverso decreti legislativi e decreti legge. Di conseguenza, anche l’attività di rappresentanza degli interessi si è adeguata a questa nuova configurazione, svolgendosi sempre più spesso presso ministeri e in altre sedi esecutive, piuttosto che in Parlamento.
È fondamentale, quindi, che ogni riflessione o regolamentazione in materia di rappresentanza degli interessi tenga conto di tutti i decisori pubblici, specialmente in ambito ministeriale, non limitandosi al profilo parlamentare. Inoltre, va tenuto presente che alcune regioni hanno già istituito un registro per la rappresentanza degli interessi, mentre altre no, creando una situazione disomogenea.
Un altro elemento spesso sottovalutato è che il combinato disposto tra l’introduzione dell’autonomia differenziata e quella del premierato potrebbe determinare una situazione per cui su una stessa materia, prendiamo ad esempio il tema trasporti, un operatore debba interfacciarsi sia con il ministero che con molteplici Regioni e quindi con diversi sistemi, norme, requisiti e, perché no, anche maggioranze e quindi sensibilità politiche differenti. Da ciò deriverebbe, non solo un incremento dei processi decisionali e un aggravio per gli operatori, ma un sempre maggiore indebolimento del Parlamento stesso.