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Kamala Harris sbaglia: le politiche di controllo dei prezzi non sempre funzionano

I politici assecondano abitualmente gli elettori con idee che sembrano attraenti ma che in pratica potrebbero rivelarsi dannose. Il proposito di imporre un controllo dei prezzi per impedire alle ‘avide’ aziende di truffare i consumatori con prezzi elevati è un esempio di questo modo inadeguato di fare politica.

Eppure, in una delle sue prime proposte politiche da candidata alla Casa Bianca del Partito Democratico, Kamala Harris ha insistito sul fatto che il Paese ha bisogno del “primo divieto federale in assoluto contro la speculazione su cibo e generi di prima necessità”. La candidata vorrebbe stabilire “regole chiare per far sì che le grandi aziende non possano sfruttare ingiustamente i consumatori per accumulare profitti aziendali eccessivi”.

Sebbene queste accuse siano vaghe, è chiaro che non si applicano al settore degli alimentari. Nel 2022, quando l’inflazione ha raggiunto il suo picco, il margine di profitto medio di un negozio di alimentari era del 2,3%. Questo margine non solo era inferiore a quello del 2021 (2,9%), ma è anche ben al di sotto del margine di profitto medio delle imprese, che si attesta tra l’8 e il 9%. Per rendere ancora più inattuale l’argomento dello sfruttamento, i margini di profitto sono scesi ulteriormente all’1,6% nel 2023.

La carenza di prodotti a seguito della pandemia COVID-19 ha causato un aumento dei prezzi dei fornitori superiore all’inflazione generale: se i rivenditori di generi alimentari stanno sfruttando i consumatori e praticando prezzi al ribasso, allora sono chiaramente i peggiori venditori al ribasso di sempre. La vendita al dettaglio di questi prodotti è un’attività a basso margine e ad alto volume. I consumatori non sono né sfruttati né truffati. Possono recarsi nel negozio di alimentari di loro scelta e trovare decine di migliaia di prodotti.
Come troppo spesso accade, la buona economia fa cattiva politica. È politicamente conveniente incolpare le aziende. Identificare le imprese come capro espiatorio dà anche una parvenza di logica alla politica di controllo dei prezzi preferita dai Democratici. Dopo tutto, se le imprese che aumentano i prezzi causano l’inflazione, ne consegue che vietare questi aumenti di prezzo vi porrà rimedio.

Il problema è che la storia non è dalla parte del vicepresidente, ma anzi è piena di fallimenti delle politiche di controllo dei prezzi. Per contrastare le pressioni inflazionistiche della Seconda Guerra Mondiale, ad esempio, Roosevelt implementò un vasto sistema di controllo dei prezzi e di razionamento. Mentre i prezzi non aumentavano più durante i controlli, i problemi di scarsità e di “shrinkflation” (il riporzionamento dei prodotti venduti però allo stesso prezzo) sostituivano gli aumenti visibili dei prezzi. Alla fine i controlli sui prezzi furono rimossi nel 1946 e il tasso d’inflazione annuale salì alle stelle, superando il 20% nel 1947.

Anche il presidente Richard Nixon non ha imparato dalla storia e ha attuato un regime di controllo dei salari e dei prezzi che nel 1971 ha congelato tutto per 90 giorni. I controlli furono poi gradualmente revocati nel tempo. Piuttosto che un sollievo, la decisione produsse “carenze e lunghe file”, afferma la John Locke Foundation, che “frustrò i consumatori per anni”.

L’elenco degli esempi continua, ma il tema è lo stesso: i controlli sui prezzi non riescono ad arrestare l’inflazione e alla fine impongono costi che superano di gran lunga gli oneri associati all’inflazione iniziale. È importante notare che le conseguenze negative delle leggi sui prezzi non si applicano solo quando si punta all’inflazione. Questi controlli non funzionano mai, a prescindere dalle promesse, e spesso producono risultati perversi, se non addirittura crudeli.

Oggi, le regole di price-gouging persistono nelle leggi locali di tutta l’America. Prendiamo il caso di John Shepperson, un uomo del Kentucky che ha acquistato 19 generatori da Home Depot, si è assentato dal lavoro, ha noleggiato un camion e ha guidato per 600 miglia fino al Mississippi, dove le vittime dell’uragano Katrina del 2005 avevano bisogno di elettricità. “John si è offerto di vendere i suoi generatori al doppio del prezzo pagato, per coprire i costi e ottenere un profitto”, racconta Mark Perry, economista dell’American Enterprise Institute. Anche se “la gente era ansiosa di comprare” i suoi generatori, gli abitanti del Mississippi che ne avevano bisogno non hanno mai avuto la possibilità di farlo. Shepperson è stato arrestato per aver violato la legge del Mississippi sui prezzi stracciati e trattenuto per quattro giorni. I generatori sono stati confiscati, dice Perry, e non sono mai arrivati ai consumatori che ne avevano urgente bisogno. I prezzi che Shepperson voleva praticare erano alti. Ma quando i generatori disponibili localmente si sono esauriti, come accade in caso di emergenza, coloro che sono arrivati dopo che l’ultimo era stato acquistato sono diventati vittime sia della tempesta sia delle leggi che creano una scarsità artificiale.

Storicamente, i controlli sui prezzi non soddisfano le speranze dei loro sostenitori perché queste politiche non affrontano le cause alla radice del problema e introducono una serie di conseguenze dannose e non volute. Il piano di Harris per il controllo dei prezzi segue lo stesso copione. Non comprende le cause dell’inflazione e non tiene conto delle conseguenze dannose che i tetti ai prezzi impongono inevitabilmente.

Alla luce di questi precedenti, la cosa migliore che possiamo sperare è che la proposta della vicepresidente sia solo un tentativo di accattivarsi gli elettori e che non abbia alcuna intenzione di seguire il suo corso. Altrimenti, i consumatori pagheranno un prezzo davvero molto alto.

Le opinioni espresse nei commenti di Fortune.com sono esclusivamente quelle degli autori e non riflettono necessariamente le opinioni e le convinzioni di Fortune.

Questa storia è stata originariamente pubblicata su Fortune.com

Foto RACHEL JESSEN—BLOOMBERG/GETTY IMAGE

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