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La forma dell’acqua: l’incredibile storia di Simone Barlaam

“L’acqua mi ha sempre dato cose che la terraferma non mi riusciva a dare. Se a terra ero goffo e maldestro, in acqua diventavo leggero, agile, aggraziato”. Simone Barlaam è nato con una coxa vara e un’ipoplasia congenita del femore destro: una gamba più corta dell’altra di 15 cm. Una condizione che lo ha portato a sottoporsi a dodici interventi chirurgici, il primo dopo soli tre giorni di vita.

Oggi Barlaam è un simbolo del movimento sportivo paralimpico. All’inizio il nuoto è stato uno strumento di riabilitazione, “l’unico sport che potessi praticare senza andare a gravare su un’articolazione già molto fragile”. Presto diventa una passione che in maniera naturale si trasforma in carriera agonistica. Barlaam ha tutti i numeri del predestinato: a 24 anni ha già vinto 19 volte il titolo di campione del mondo e 12 volte quello di campione europeo.

“Mio padre, da grande appassionato di triathlon, aveva conosciuto il commissario tecnico della Nazionale di paratriathlon. Per me è stato il primo punto di contatto col mondo paralimpico”, racconta Barlaam riannodando le fila dei ricordi. “A quel punto fu mia madre a suggerirmi di cercare online notizie sulla Federazione di nuoto. Così mi sono messo in contatto col delegato regionale della Lombardia, che ancora oggi è il mio allenatore: Massimiliano Tosin”. Inizia così l’avventura di Barlaam. “All’epoca rimasi folgorato da questo gruppo di atleti, ragazzi più grandi di me che si stavano preparando per le Paralimpiadi del 2016 e facevano delle cose straordinarie, impensabili”.

Non sarebbe passato molto tempo prima che Barlaam entrasse a far parte di quella cerchia. “Col tempo ho visto che i miei tempi miglioravano. Quando, nel 2017, è arrivata la convocazione in Nazionale per i Mondiali di Città del Messico, ho capito che avrei potuto farcela”. Il debutto è trionfale: Simone conquista due ori, un argento e un bronzo. Tre anni dopo, alle Paralimpiadi di Tokyo, porta a casa un oro, due argenti e un bronzo.

“Sono cresciuto col mito di Kobe Bryant e di Michael Phelps, due campioni che mi hanno ispirato profondamente. E poi ho sempre ammirato il grande Alex Zanardi. Ho avuto il piacere di incontrarlo in un paio di occasioni, una leggenda vivente”. Simone Barlaam è diventato talmente forte da passare dall’altra parte della barricata: oggi è lui ad essere un mito per i più piccoli.

“Mi emoziona e mi riempie d’orgoglio pensare di essere un modello per i bambini. Ma è anche una responsabilità – sottolinea l’atleta – cerco sempre di veicolare messaggi positivi. È questa, secondo me, la vera missione del mondo paralimpico: influenzare positivamente le persone e far capire loro che non devono vergognarsi della loro condizione. Se con le nostre imprese riusciremo ad avvicinare allo sport bambini con disabilità, facendo sì che si sentano accettati dalla società, avremo già vinto”.

Negli ultimi anni molteplici traguardi sono stati raggiunti nella direzione del pieno riconoscimento del valore sportivo degli atleti paralimpici. “Finalmente possiamo essere assunti nei gruppi sportivi dei Corpi dello Stato. Io, ad esempio, faccio parte delle Fiamme Oro, il gruppo della Polizia di Stato. Un passo avanti importante”, sottolinea Barlaam. Ma un ruolo decisivo lo stanno giocando anche i media, che “stanno parlando sempre più di sport paralimpico e soprattutto lo stanno facendo con un’ottica diversa. Non più con pietismo, con le storie strappalacrime, ma trattando il tema dal punto di vista agonistico, del valore sportivo”.

Nel 2019 ha ricevuto l’Ambrogino d’oro, la massima onorificenza conferita dal Comune di Milano. “Un atleta eccezionale – si legge nella motivazione – che non si è arreso alle difficoltà e sta scrivendo pagine bellissime per lo sport nazionale. Ma anche uno studente impegnato e ambizioso. Un orgoglio per Milano e per il Paese, un vero esempio per le giovani generazioni”. Nel 2023 è invece insignito del prestigioso Para-Awards, il più importante riconoscimento dell’International Paralympic Committee, quale miglior atleta maschile negli sport estivi.  “È stato quasi surreale vincere quel premio – confessa – Fino a qualche anno prima guardavo con ammirazione gli altri fare grandi cose, diventare uno di loro è difficile da credere”.

 

 

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