L’aura di invincibilità, di incontrastata superiorità della Cina guidata dall’Imperatore Xi Jinping, come non a caso lo definisce in questi giorni il New York Times, si sta lentamente sgretolando sotto i colpi dell’epidemia di coronavirus. Coronavirus che non accenna a mollare la presa ed è, viceversa, tornato ad essere l’apertura dei siti online dei principali giornali nel mondo per il rinnovato allarme lanciato in queste ore dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il ‘secolo cinese’, come lo hanno battezzato – troppa in fretta? – autorevoli commentatori, certi che lo scettro del comando mondiale passerà di mano spostandosi in Asia, mostra le prime crepe, i primi passi falsi. Riportando alla ribalta una questione troppo spesso colpevolmente oscurata dallo straordinario successo economico: il carattere non democratico del potere che il Partito unico esercita sul Paese, il dominio di un regime occhiuto che impone un controllo ferreo. Lo raccontano la sorte del medico, ora eroe-vittima, che ha tentato di suonare l’allerta, le immagini che mostrano i modi brutali con cui i contagiati vengono portati via dalle loro case, il bavaglio all’informazione.
Come uscirà il ‘brand’ Cina dall’emergenza? Quali saranno gli inevitabili contraccolpi, le ammaccature alla sua indiscutibile allure? In particolare, nella sua principale zona d’influenza, l’Africa. Insieme ai tanti Paesi che ha ‘messo nel mirino’ perché ricchi di materie prime o perché bisognosi di investimenti in infrastrutture. È troppo presto per dirlo, molto dipenderà dalla durata e dalla virulenza dell’epidemia e, di conseguenza, da quanto peserà sulle dinamiche della crescita dell’economia mondiale, già in rallentamento. Basta scorrere l’elenco delle fiere rimandate o cancellate, degli impianti produttivi già chiusi in Asia e nel mondo, delle stime sul crollo del turismo. Italia compresa.

Però qualche prima riflessione sembra inevitabile. Cosa succederà al faraonico programma della Nuova Via della Seta, la Belt&Road Initiative? La Cina potrà ancora destinare risorse tanto ingenti, nell’ordine di 1.800 miliardi di dollari, a questi fasci di collegamenti marittimi e terrestri, o all’insediamento nei porti e negli snodi logistici europei? Continuerà ad inondare l’Africa di denaro, prendendo così il “controllo de facto” delle finanze dei tanti Stati indebitati fino al collo? O sarà costretta ad allentare la presa per sostenere il Pil interno?
Domande scomode, che ancora la politica non si pone a voce alta, ma che cominciano a circolare sui media internazionali: quanto ci si può fidare del brand Cina per la costruzione di strade, ponti e ferrovie, scuole e ospedali, quando si registrano crolli di manufatti, apertura di voragini, in generale scarsa qualità degli edifici? O per la produzione di oggetti di consumo che si rivelano tossici? Se tocca chiedere aiuto agli Stati Uniti e ai Paesi occidentali perché non si hanno né l’expertise, né le dotazioni sanitarie, né i medici necessari a gestire lo scoppio di un’epidemia e la quarantena, come si può aspirare a diventare i dominatori del mondo? Basta la superiorità tecnologica nel 5G?
E ancora, come mai i virus che hanno messo paura al mondo negli ultimi anni, vedi Sars e Coronavirus, hanno avuto origine in Cina e non sono stati circoscritti? La domanda sorge spontanea: qual è il reale livello di igiene pubblica garantito nel Paese? Il grande terrore dell’OMS in queste ore è che il virus arrivi in Africa, dove, viste le condizioni di vita, potrebbe diventare la peste del Ventunesimo secolo.
Intanto, finalmente, forse sollecitato dai titoli dei media occidentali, dopo settimane di latitanza in cui era sparito dai radar, preferendo rimanere a una prudente distanza di sicurezza dall’infezione e dalle sue conseguenze, non dover accostare la sua immagine a quelle della quarantena a Wuhan, Xi Jinping è tornato a comparire in televisione. Con immancabile mascherina. Ma i graffi all’aura della superiorità cinese restano.