Dalle cime impervie delle Alpi alle acque dell’Adriatico, passando per le colline di ponca, un impasto di marna e arenaria stratificatosi nel corso dei millenni. Sono la ricchezza e la varietà di climi e paesaggi a fare del Friuli un territorio ad altissima vocazione viticolo-enologica. Ma il Friuli è anche storicamente terra di passaggio, di confini mutevoli, di emigrazioni e di ritorni.
Nel 1963 Leonardo Specogna lascia le amate montagne friulane per cercare fortuna in Svizzera, dove avrebbe trovato impiego in un’acciaieria. Dopo due anni fa rientro nella terra natìa. Durante il ‘nostos’, il viaggio che lo avrebbe riportato a casa, il suo sguardo si posa per la prima volta sulle sinuose colline verdi della Rocca Bernarda di Corno di Rosazzo. È amore a prima vista. Decide quindi di investire i suoi risparmi in un piccolo appezzamento di terreno.
Nasce così l’azienda agricola Specogna. “All’inizio la produzione, cerealicola e casearia, era di sussistenza, finalizzata esclusivamente al mantenimento della famiglia”, racconta Cristian Specogna, terza generazione di vignaioli, titolare dell’azienda che oggi porta avanti con intatta passione insieme al fratello Michele. Ben presto però il territorio avrebbe rivelato la sua enorme vocazione enologica. “Con mio padre Graziano ci siamo specializzati nel vino. Oggi coltiviamo con energia da fonti rinnovabili e in completo regime biologico circa 25 ettari a vigneto e produciamo 120mila bottiglie l’anno esportate in 40 Paesi”.
Tra le bottiglie Specogna spicca il Pinot Grigio ramato, la cui peculiare tonalità deriva dal lungo processo di macerazione sulle bucce. “Siamo tra le poche aziende che portano avanti questa tradizionale tipologia di vinificazione”. E poi si fa notare il Picolit, che della collina della Rocca Bernarda ha fatto la sua patria d’elezione. Un bianco dolce che restituisce sensazioni di albicocca, agrume, tabacco e pasta di mandorle, avvolgendo il palato con eleganza e intensità. Duality è invece una riserva di Sauvignon Blanc che nasce dall’unione di uve ottenute da due vigneti con caratteristiche opposte. Una produzione con cui “cerchiamo di valorizzare le peculiarità dei bianchi friulani: grande aromaticità e personalità nel calice”. Non solo bianchi, però: “Negli ultimi anni sta emergendo il Pignolo, un vitigno autoctono, tipico del territorio di Rosazzo. Viene considerato un po’ il Barolo del Friuli; un rosso di grande corpo e struttura. Ci stiamo puntando molto”, confessa Specogna.
Oggi la produzione agricola non può essere scissa dal discorso improrogabile sulla sostenibilità ambientale. Una visione che Specogna declina in maniera concreta e puntuale nel lavoro quotidiano. “Per essere davvero sostenibili, dobbiamo capire i dettagli dell’ecosistema dal punto di vista climatico, geologico, agronomico. Per questo motivo abbiamo avviato delle collaborazioni con le Università di Udine, Ca’ Foscari e Nova Gorica in Slovenia, per sviluppare degli apparecchi che analizzano le caratteristiche pedoclimatiche dei vigneti e l’assimilazione dell’acqua da parte della pianta. Oggi ci troviamo a dover affrontare la gestione della risorsa idrica, che è sempre più scarsa, e dobbiamo capire come intervenire sul terreno per aiutare la vite a diventare più resiliente, contrastando i cambiamenti climatici”. Specogna tiene molto anche alla sostenibilità sociale. “Cerchiamo di avvicinare l’azienda al territorio, collaborando con associazioni e istituti virtuosi.
Le etichette di alcune linee di bottiglie, ad esempio, sono dipinte da ragazzi con autismo”.
Assieme alla terra, Cristian ha ereditato anche i ricordi delle generazioni precedenti, testimonianza preziosa dello scorrere del tempo, ma anche dei drammatici cambiamenti prodotti dalla crisi climatica. “Quando sessanta anni fa il nonno iniziò a lavorare su queste colline – ricorda – il numero di giornate in cui si superavano i 30 gradi erano in media una decina all’anno. Oggi siamo abbondantemente sopra quota 50. Il lavoro più importante di questi anni è stato quello di zonare ogni singolo vigneto, per carpirne i dettagli climatici e geologici e creare delle carte di identità per ogni appezzamento, così da individuare le pratiche agronomiche ideali a seconda della posizione del vigneto e del tipo di vitigno”.
I risultati di questo monitoraggio sono evidenti: “Abbiamo diminuito il numero dei trattamenti del 30%, e per ogni intervento usiamo il 25% in meno di prodotto. Il nostro è uno sforzo concreto nella direzione di un’agricoltura più pulita e con meno sprechi”. Il Friuli conserva intatto il fascino proprio delle terre di confine: “Qua le frontiere, a cavallo fra le due guerre mondiali, sono cambiate tre volte. Ci sono persone che sono nate austriache, cresciute italiane e morte jugoslave. Un melting pot incredibile che, se in passato rappresentava un problema, oggi è fonte di arricchimento culturale. Dal cibo al vino, dalla cultura all’arte, si percepisce questo mix di influenze italiane, slave e austriache che si fondono assieme dando vita ad un unicum a livello nazionale e forse anche europeo. La nostra terra, inoltre, ha saputo preservare l’autenticità dei luoghi, una ruralità bellissima, con ecosistemi intatti. Qui si vive un turismo sano, meno caotico rispetto ad altre località”.
Ma il valore aggiunto per la viticoltura è dato dalla sorprendente eterogeneità dei paesaggi. In poche decine di chilometri si passa dalle catene delle Alpi Carniche e Giulie, barriera naturale contro i venti del Nord, alle dolci brezze dell’Adriatico che mitigano le temperature. È qui che la pianta della vite trova le condizioni ideali per prosperare e i fratelli Specogna lavorano per valorizzare un prodotto dall’identità forte, portando un pezzo di Friuli in giro per il mondo. A partire da Rocca Bernarda, facendo al contrario il viaggio del nonno Leonardo.