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Intelligenza artificiale, regole e competitività: il Brainstorm Innovation di Fortune Italia

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Velasco25 Articolo

Dall’impatto sull’informazione dell’intelligenza artificiale generativa alla competitività digitale europea, dall’AI Act alle norme italiane in divenire: sono i temi al centro della prima giornata del Fortune Brainstorm Innovation Italia, organizzato in collaborazione con il Centro di ricerca in strategic change ‘Franco Fontana’ della Luiss.

“Capire l’innovazione e scegliere le tecnologie giuste è molto importante. Bisogna spendere in maniera intelligente, con obiettivi precisi, evitando di disperdere le risorse. Stiamo affrontando tre profonde trasformazioni: digitale, energetica e geopolitica. Ben venga parlarne prima con competenza e magari anche con preveggenza”, dice Luigi Gubitosi  nei suoi saluti istituzionali. 

“L’Italia è al settimo posto al mondo nell’attuazione del piano per l’intelligenza artificiale. E siamo stati il primo Paese europeo a mettere in campo una strategia normativa dopo l’AI Act”, ricorda Serafino Sorrenti, Chief innovation officer della Presidenza del consiglio dei ministri.

AI generativa e creazione di contenuti: il futuro dell’innovazione

L’intelligenza artificiale pone una serie di questioni delicate sul modo in cui vengono prodotte le informazioni e sui rischi insiti nella tecnologia, che la normativa comunitaria cerca di arginare. “L’AI Act si inserisce in un insieme di norme che hanno un obiettivo preciso: rafforzare l’innovazione, perché danno certezze al mercato e ai cittadini”, sottolinea Vittorio Calaprice, analista politico alla Rappresentanza in Italia della Commissione europea, in apertura della prima tavola moderata da Alessandro Pulcini di Fortune Italia. 

“Il tema cruciale, per noi, è quello di sentirsi responsabili per i prodotti che offriamo a 4 miliardi di persone”; esordisce Luca Colombo, Country Director Italia di Meta. “Per questo mettiamo in campo iniziative volte a tutelare gli utenti e ad accrescere la loro consapevolezza. I watermark permetteranno di verificare l’autenticità dei contenuti; è una grossa sfida tecnologica. Abbiamo costruito l’AI Alliance insieme ad altre aziende, per aiutare il mercato a muoversi in un contesto sempre più sicuro”.

Sui rischi dell’AI verte anche l’intervento di Vincenzo Esposito, amministratore delegato di Microsoft Italia. “Il nostro obiettivo è lavorare affinché il margine di errore sia il minore possibile. Uno dei campi di applicazione più pericolosi dell’AI è all’interno del sistema delle news. Lì si può influenzare l’elettorato e usare l’intelligenza artificiale per scopi malevoli. Per questo serve che i modelli siano allenati con dei ‘guardrail’ al loro interno: bisogna impedire, ad esempio, che l’AI possa generare contenuti razzisti”. 

“Con l’AI generativa abbiamo visto cose che difficilmente ci saremmo aspettati in tempi così rapidi e con questa accuratezza”, rimarca Giuseppe Francesco Italiano, ordinario di Computer Science della Luiss. “Stiamo lavorando su sistemi che riescono a processare una mole infinita di dati. Andiamo però sempre più verso l’uso di dati sintetici che causeranno altri problemi. Dobbiamo arrivare a poterci fidare dell’AI, così come sappiamo di poterci fidare dei nostri collaboratori”.

Per Massimo Lapucci, International Fellow Digital Ethics Center di Yale University, “il tema è l’attendibilità dell’informazione generata con l’AI. Di Framework ne abbiamo anche troppi, il tema è piuttosto quello della loro applicazione. Credo molto nelle alleanze fra grandi aziende tecnologiche, soggetti di ricerca e mondo no-profit; bisogna mettere al centro la dignità umana”. 

“Fra le condizioni imprescindibili per adottare l’intelligenza artificiale in modo efficace, c’è sicuramente il cloud”, spiega Carla Masperi, Ad SAP Italia. “Il cloud è la tecnologia che abilita l’innovazione. E poi serve una data strategy: la sicurezza, cioè, che il dato a cui ricorriamo sia affidabile e coerente”. 

Greater Bay Area: quale risposta dall’Europa? 

La Greater Bay Area, considerata il nuovo motore dell’economia cinese, ha ambizioni di leadership globale, fondate sull’accelerazione del movimento di talenti e capitali. Per alcuni è un modello illuminato, un’area culturalmente vivace. In che modo l’Europa e l’Italia può rispondere all’area cinese che punta a diventare il baricentro dell’innovazione mondiale?

“L’Italia deve puntare sulle sue eccellenze, università e centri di formazione. A livello europeo dobbiamo adottare un quadro normativo che consenta il rafforzamento della nostra filiera. Nell’ambito del Net Zero Act, la Commissione europea ha varato l’accademia solare europea, che mira a formare nei prossimi tre anni 100mila impiegati nel solare e nel fotovoltaico. La direzione è segnata”, evidenzia Edoardo De Luca, Direttore generale Elettricità Futura.

“La Cina nella Greater Bay Area ha lavorato molto sui corridoi di trasporto, per facilitare i movimenti di persone e merci. Da tempo, inoltre, lavorano sull’energia rinnovabile, che ha trovato lì un’applicazione più rapida della nostra: una filiera che domina a livello globale”, sottolinea Stefano Donnarumma di Donnarumma & Partners.

Per Irene Finocchi, ordinario di Computer Science della Luiss, una delle questioni decisive nell’incentivare la trasformazione digitale è “la formazione, il capitale umano”. Molti ricercatori cinesi si spostano negli Stati Uniti, acquisiscono il know-how che poi riportano nel Paese d’origine. In Italia abbiamo le competenze, la formazione è solida, ma le menti che formiamo finiscono all’estero per non tornare più in Italia. Dobbiamo favorire il rientro dei cervelli”.

Sulla Greater Bay Area è piuttosto scettica la posizione di Giulio Terzi di Sant’Agata, Presidente IV Commissione Politiche dell’Unione europea del Senato. Un’area “diretta dal Partito Comunista cinese, che impone agli scienziati di tornare a casa dopo aver acquisito le conoscenze all’estero, per metterle a disposizione di questo servizio civile e militare. Noi non ricatteremmo mai i nostri scienziati nel mondo come fa la Cina”.

 

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