“I social possono nuocere gravemente alla salute mentale”. È l’etichetta, in pratica una black box come quelle sui pacchetti di sigarette o sui superalcolici, che Vivek Murthy, il Surgeon General americano (l’equivalente del nostro ministro della Salute) vorrebbe apporre su tutti i social media, come ha annunciato lui stesso dalle pagine del ‘New York Times’.
Un avvertimento per i genitori di quell’esercito di adolescenti e pre-adolescenti che si consumano su Instagram o TikTok. E il motivo è presto detto. Secondo gli esperti l’aumento dei tassi di ansia e depressione osservato negli ultimi anni nei teenager è largamente imputabile alla presenza massiva dei social nella loro vita.
Uno studio condotto nel 2019 ha evidenziato che un adolescente che trascorra più di tre ore al giorno sui social vede raddoppiare il suo rischio di depressione e disturbo d’ansia; ma le statistiche più recenti raccontano che i ragazzi sui social ci passano almeno 4,8 ore al giorno. Una recente indagine tra i giovanissimi americani ha evidenziato che fino al 95% della fascia tra i 13 e i 17 anni utilizza una piattaforma social, in un terzo dei casi ‘quasi costantemente’.
E sebbene l’età minima richiesta agli utilizzatori sia di 13 anni, il 40% dei ragazzini americani di 8-12 anni sta già sui social. Un fenomeno dunque già ampiamente fuori controllo, che ha indotto già lo scorso anno il Surgeon General a correre ai ripari, pubblicando un ‘Advisory’ per attirare l’attenzione degli americani su questo urgente problema di salute pubblica e chiedere azioni immediate.
Nel considerare il rischio dei social – si legge sull’Advisory – un fattore davvero critico da considerare è lo sviluppo del cervello dai 10 ai 19 anni, un periodo di grande vulnerabilità, quando i comportamenti a rischio raggiungono l’acme, il benessere è sottoposto ad ampie fluttuazioni e tipicamente emergono problemi di salute mentale come la depressione.
In questa fase, critica per la formazione dell’identità e del senso di auto-stima, lo sviluppo del cervello risente molto delle pressioni sociali, delle opinioni e del confronto con i coetanei. I social media possono addirittura lasciare il segno sul cervello. Secondo alcuni studi nei forti utilizzatori possono influenzare lo sviluppo dell’amigdala (una parte del cervello implicata nell’apprendimento emotivo e nel comportamento) e della corteccia pre-frontale (importante per il controllo degli impulsi, la regolazione delle emozioni e nel moderare il comportamento sociale).
L’adolescenza, insomma, è un periodo molto delicato per lo sviluppo cerebrale e un’esposizione eccessiva ai social media – conclude il Surgeon General – a quest’età merita un’attenzione particolare.
E i problemi posti dai social non nascono solo da questa enormità di tempo sottratta alla vita, alle relazioni sociali ‘vere’ e allo sport, ma anche dai contenuti consumati (spesso violenti o sessualmente espliciti), dal sonno perso e naturalmente dalle interazioni a rischio.
I social spesso fanno sentire i giovanissimi ‘non all’altezza’, inadeguati per il loro aspetto fisico; e poco importa se le immagini proposte dagli influencer siano ritoccate con le app di intelligenza artificiale. I disturbi mentali che generano e che assalgono i ragazzi sono al contrario tristemente reali.
“Il warning – spiega il Surgeon General – dovrebbe anche impedire a queste piattaforme di raccogliere dati sensibili dai bambini e dovrebbe restringere l’uso delle notifiche, dell’autoplay e dello ‘scroll’ all’infinito, che hanno un effetto predatorio su un cervello in fase di sviluppo e contribuiscono al loro uso eccessivo”.
La crisi di salute mentale tra i giovani è una realtà drammatica, alla quale i social media danno un importante contributo; ecco perché una ‘moratoria’ che ne limiti l’uso potrebbe dunque aiutare (e anche la famiglia e la scuola dovrebbero contribuire ad imporre un ‘coprifuoco’ dal cellulare).
Uno studio pilota su un gruppo di adolescenti ha evidenziato che limitare a mezz’ora il tempo trascorso sui social, nell’arco di 3 settimane produce un significativo miglioramento rispetto alla gravità della depressione. L’idea della ‘black box’ da mettere sui social affonda dunque le sue radici nelle evidenze scientifiche prodotte da tanti studi, ma dovrà comunque, prima di essere implementata, passare al vaglio del Congresso. Ed è chiaro che non basterà un ‘warning’ per rendere i social un luogo sicuro per i giovani.
Le black box sui pacchetti di sigarette hanno di certo aumentato la consapevolezza dei rischi del fumo di sigaretta ma la gente continua a fumare, nonostante gli aumenti di prezzo delle bionde. E la fruizione dei social è, almeno per ora, del tutta gratuita.