Una cosa è il sostegno a una città, Taranto, una cosa è il salvataggio di un’azienda, l’ex Ilva. Per una volta, però, le due cose potrebbero stare insieme. Il governo, alle prese con il difficile negoziato con ArcelorMittal, sta pensando a tutte le risorse a disposizione per mettere in piedi ‘un’operazione di sistema’ che salvi la produzione di acciaio in Italia e che riduca il più possibile il danno, ambientale e sociale, per il territorio. Da una parte, l’ingresso dello Stato (tramite Invitalia molto probabilmente) per ‘controllare’ e gestire, insieme a ArcelorMittal qualora il negoziato andasse avanti, o senza qualora si arrivasse a una rottura. Dall’altra, una rete diffusa che renda sostenibile il rilancio dell’acciaieria. Se ne parla da giorni, con insistenza, sia a Palazzo Chigi sia al Mise. E ci sono diverse anime, tecniche e politiche, al lavoro costantemente sul dossier.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha confermato lo schema. “Quello che posso anticipare è che è prevista anche la partecipazione di aziende pubbliche, a partecipazione pubblica. Questo senz’altro. Quando ho parlato di ‘sistema Italia’ intendevo questo, noi siamo pronti a fare la nostra parte per rendere questo progetto ancora più efficace, credibile, per rendere il piano industriale ancora più sostenibile”.
Lo Stato può intervenire direttamente, tramite il Mef, e indirettamente, chiedendo il soccorso delle grandi aziende (Fincantieri e Snam, ma anche Eni) soprattutto per quanto riguarda la riconversione di una parte della produzione e la ricollocazione di parte della forza lavoro. Poi ci sono le armi che tradizionalmente vengono chiamate in causa quando le situazioni si complicano, Cdp ovviamente, e anche Invitalia.
Vanno però distinti i due piani di intervento. La Cassa guidata da Fabrizio Palermo ha dei precisi vincoli di Statuto, puntualmente ribaditi dal presidente dell’Acri Francesco Profumo, in rappresentanza delle fondazioni azioniste: “Non si possono mettere a rischio i risparmi di 27 mln di italiani”. Ipotizzare un coinvolgimento diretto di Cdp nell’ex Ilva è per questo un argomento non spendibile, almeno nelle condizioni attuali. Diverso, come spiegato dal presidente Giovanni Gorno Tempini, intervenire a sostegno del territorio, sulla falsa riga di quanto già fatto per Genova dopo il crollo del Ponte Morandi. In sostanza, la Cassa può intervenire con tutti gli strumenti a disposizione a favore degli enti territoriali e anche del tessuto imprenditoriale dell’area di Taranto.
Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa controllata al 100% dal Mef, può invece entrare direttamente nell’operazione ex Ilva. È già il soggetto attuatore dei Cis, i contratti istituzionali di sviluppo, ovvero lo strumento legislativo che serve a convogliare fondi europei e nazionali sui progetti strategici. A Taranto può contribuire ad accelerare la progettazione e la realizzazione di opere, anche di bonifica, che potrebbero per altro impiegare una parte degli esuberi dell’acciaieria.
Per ora, di concreto, c’è anche la disponibilità di alcune grandi aziende a valutare l’impegno possibile. Eloquenti le parole dell’Ad di Snam, Marco Alverà: “Non ci occupiamo di acciaio”, ha premesso durante la presentazione del piano industriale, ma “siamo al lavoro da mesi su Taranto” dove sono allo studio “investimenti che possono arrivare fino a 40 milioni di euro”. Fincantieri, uno dei maggiori utilizzatori di acciaio, potrebbe aiutare portando a Taranto una quota della sua produzione, a patto che si arrivi a un investimento sostenibile.