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Tumore al seno, costi e ostacoli alla ricostruzione post intervento

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Velasco25 Articolo

Burocrazia e ‘miopia’ nemiche delle donne operate per un tumore al seno. Ad accendere i riflettori sulle diseguaglianze sul fronte della ricostruzione post intervento sono le specialiste di Beautiful After Breast Cancer (BABC) Italia Onlus, in occasione del Bra Day, la Giornata internazionale per la consapevolezza della ricostruzione mammaria post-oncologica che si celebra oggi in tutto il mondo.

La medicina ha fatto passi da gigante contro il tumore al seno, dunque forse questa notizia potrà stupirvi: “Il Servizio sanitario nazionale copre solo i costi della mastectomia, la fase demolitiva dell’intervento, prevedendo la ricostruzione differita”, spiega Marzia Salgarello, chirurgo plastico ricostruttivo presso la Fondazione Policlinico Gemelli e presidente BABC Italia Onlus.

“Tutto questo – continua – quando ormai sappiamo che, per la donna che affronta la malattia, è fondamentale la ricostruzione immediata, che non è purtroppo rimborsata con nessuna metodica, ma viene eseguita a spese delle singole aziende ospedaliere”. Insomma, quando si fa pagano i singoli centri.

Costi a carico degli ospedali

Di che cifre parliamo? “Secondo uno studio cui ho partecipato, con la professoressa Maria Lucia Specchia come prima firmataria, per ogni mastectomia con ricostruzione immediata, l’azienda sanitaria perde in media 1.719 euro. Parliamo della ricostruzione più basica – dice Salgarello – Ma così esci dalla sala operatoria, non c’è più il tumore e non sei mutilata”.

Cerchiamo di capire meglio: quante sono le donne operate per tumore al seno che potrebbero eseguire una ricostruzione contestuale? “Praticamente oggi il 98% delle donne seguite in Breast unit potrebbe fare la contestuale. Ma questo non accade nei centri più piccoli, dunque circa la metà delle pazienti accede alla ricostruzione immediata“, dice la specialista.

Non solo. “Il Ssn copre il costo della ricostruzione con i lembi, ovvero con i propri tessuti, in differita e con rimborsi così esigui che scoraggiano le aziende ospedaliere a utilizzare questa tecnica vantaggiosa per la donna. Ma bisogna anche dire che se si esegue in differita, la ricostruzione è più difficile, c’è meno pelle. Insomma, a fronte di una maggiore sopravvivenza, dobbiamo ancora migliorare la qualità della vita delle nostre pazienti”, rileva Salgarello.

La durata delle protesi

Dunque per un discorso di budget tendenzialmente si evitano gli interventi con tessuti propri, più difficili e ovviamente anche più costosi. “Eppure le protesi non sono eterne – puntualizza Liliana Barone Adesi, dirigente medico dell’U.O.C. di Chirurgia Plastica, Fondazione Policlinico Gemelli, vicepresidente BABC Italia Onlus – La durata varia da donna a donna, anche in base alle terapie effettuate. Quel che si sa è che 1 su 10 si rompe”.

Un ‘peso’ ce l’ha anche “il tipo di terapia: la radioterapia deteriora i tessuti e quindi può rovinare la ricostruzione. Inoltre se viene impiantata una protesi monolaterale, nel tempo l’invecchiamento può determinare un cambiamento morfologico – continua Barone Adesi – con la necessità di rimodellare la mammella sana per ottenere la simmetria. In definitiva, sul lungo periodo la ricostruzione con protesi può richiedere diversi interventi correttivi. Gli interventi con i propri tessuti, invece, a fronte di un maggior impegno sia per la paziente in termini di impegno fisico che per l’azienda sanitaria in termini di costi, hanno risultati molto più stabili nel tempo”.

Questione di codice

A ostacolare la ricostruzione contestuale, dicono le specialiste, è proprio la mancanza di un codice rimborso ad hoc. “Basterebbe un codice Agenas per rendere questo servizio accessibile per le donne in tutta Italia. Oggi invece chi si appoggia a una Breast Unit può beneficiarne, mentre le altre pazienti no”, continua la specialista.

Going flat? No grazie

Ma c’è anche chi, dopo un tumore del seno, rifiuta la ricostruzione? “Pochissime lo fanno – risponde Salgarello – diciamo una ridottissima minoranza. Parliamo di una mutilazione, ma alcune donne vogliono risolvere soprattutto il problema oncologico, altre sono spaventate, in altri casi ancora si vede la ricostruzione come un di più. Pochissime rifiutano per motivi ideologici”, continua Salgarello, convita che il movimento ‘going flat’ dopo la mastectomia sia “una moda americana che riguarda una minoranza”.

“Tra l’altro – le fa eco la chirurga Liliana Barone Adesi – restare senza un seno può provocare riflessi sulla postura, sulla colonna”.

Lo spettacolo e la mostra

Oggi al Policlinico Gemelli di Roma, nella sala MediCinema all’8° piano, Beautiful After Breast Cancer Italia Onlus metterà in scena uno spettacolo della durata di 2 ore, portando sul palco medici, pazienti e persone, soprattutto donne, del mondo dello spettacolo e dello sport. Qualche nome: l’attrice Milena Miconi, la scrittrice Giuseppina Torregrossa, la regista Matilde d’Errico, Paola Perego, conduttrice televisiva, l’attrice Benedicta Boccoli, la show girl Carolina Marconi, le campionesse olimpiche Laura Milani (canottaggio) ed Elisa Di Francisca (fioretto), ma anche l’attore Mattia Sbragi.

Le creazioni dello stilista Gianfranco Venturi sfileranno sul palco, indossate dalle pazienti.

Gli ospiti potranno ammirare gli scatti di Silvio Esposito (in questo articolo), fotografo che ha catturato la bellezza delle pazienti oncologiche in immagini emozionanti, che permettono di guardare con occhi diversi le donne che si sono trovate ad affrontare questa malattia.

Credits Silvio Esposito

I numeri

Il tumore al seno colpisce 1 donna su 8 nel corso della vita. Nella stragrande maggioranza dei casi oggi la terapia comporta un intervento chirurgico più o meno demolitivo. L’approccio contro questo tumore nemico delle donne si è enormemente evoluto negli anni: oggi il carcinoma mammario si intercetta sempre più precocemente, con un importante impatto sulla durata e la qualità della vita.

Ma, come dicono le specialiste di BABC Italia Onlus nel Bra day, a fronte di una maggiore sopravvivenza occorre migliorare la qualità della vita delle pazienti italiane. E per farlo basterebbe poco: più attenzione e un codice di rimborso ad hoc. 

credits Silvio Esposito
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