Fari puntati sulla salute del cuore, in vista della Giornata mondiale che si celebra il 29 settembre. Dalla ricerca arrivano due interessanti notizie: da un lato parliamo di un fenomeno particolare, quello delle vittime di infarto e ictus che hanno appena 50 anni, dall’altro torniamo sulla proteina ‘scudo’ che rende le cellule del cuore più abili nel reagire a un infarto.
Una ricerca, quella sulla proteina della longevità, che abbiamo illustrato di recente e che potrebbe aprire la strada a una nuova terapia ‘salva-cuore‘.
Il tallone d’Achille dei giovani
A mettere a rischio il cuore dei giovani è la pressione alta. Sembra incredibile, ma l’ipertensione ormai si manifesta sempre prima, già a 18 anni secondo a un ampio studio svedese, pubblicato sugli’ Annals of Internal Medicine’.
Ebbene, la cattiva notizia è che essere ipertesi nella tarda adolescenza aumenta considerevolmente il rischio cardiovascolare da adulti. Un problema non solo svedese. Secondo le ultime stime quasi 2 milioni di under 35 in Italia presentano una pressione ‘fuori norma’, spesso senza saperlo. Sotto accusa abitudini alimentari scorrette, sedentarietà, fumo e alcol.
“I dati appena pubblicati da ricercatori delle università svedesi di Umea e Uppsala sono molto solidi: quasi 1,4 milioni di uomini a cui è stata misurata la pressione durante la visita di leva a 18 anni sono stati seguiti fino a cinquant’anni, consentendo così di valutare la correlazione fra ipertensione giovanile e probabilità di eventi cardiovascolari successivi”, racconta Pasquale Perrone Filardi, presidente della Società italiana di cardiologia e direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare all’Università Federico II di Napoli.
L’impatto dell’ipertensione da giovani
Nel campione svedese circa il 29% dei diciottenni aveva valori di pressione alterati, superiori a 120/80 mmHg, il 54% poteva essere classificato come iperteso. “In queste persone, negli anni, si è registrato un graduale e sostanziale incremento nel rischio di eventi cardiovascolari, tanto che un diciottenne iperteso su dieci ha avuto un infarto o un ictus prima della pensione, mentre a chi aveva la pressione bassa questo non accadeva. Questi dati indicano la necessità di iniziare a controllare la pressione fin dall’adolescenza – sottolinea il cardiologo – La prevenzione cardiovascolare deve iniziare da giovanissimi, cercando di individuare i ragazzi a rischio”.
I costi
Non dimentichiamo che le malattie cardiovascolari rappresentano ancora la principale causa di morte nel nostro Paese: sono responsabili del 44% di tutti i decessi. E che la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte (28% dei decessi), mentre gli accidenti cerebrovascolari sono al terzo posto con il 13%, dopo i tumori.
Chi sopravvive a un attacco cardiaco diventa un malato cronico, con importanti costi economici per la società. Come ricorda l’Istituto superiore di sanità almeno il 23,5% della spesa farmaceutica italiana (pari all’1,34 del prodotto interno lordo), è destinata a farmaci per il sistema cardiovascolare.
I dati italiani
Nel nostro Paese circa il 14% degli under 35, pari appunto a circa 2 milioni di persone, ha già la pressione alta. E perfino i bambini possono avere valori pressori alterati: secondo alcune stime riportate dagli esperti della Sic fino al 4% dei bimbi e ragazzini fra 6 e 11 anni ha una pressione elevata per la sua età.
“Pochi genitori ci pensano, anche i medici raramente controllano la pressione in bambini e ragazzi – sottolinea Francesco Barillà, presidente della Fondazione “Il Cuore Siamo Noi” e direttore della Cardiologia dell’Università di Roma Tor Vergata – invece sarebbe bene fare la misurazione una volta all’anno ai controlli di crescita iniziando attorno ai cinque, sei anni. Misurare la pressione è un gesto semplice che diventa indispensabile nei giovani che hanno genitori o altri parenti stretti con l’ipertensione o che sono sovrappeso, uno dei fattori di rischio più rilevanti per lo sviluppo della pressione alta”.
La buona notizia
Come precisa Barillà, negli adolescenti e nei giovani adulti “solitamente non sono necessarie cure farmacologiche, è sufficiente intervenire sullo stile di vita, con una dieta equilibrata ricca di frutta, verdura e cerali integrali e povera di sale, grassi saturi e zuccheri, facendo almeno 150 minuti alla settimana di attività fisica e soprattutto evitando fumo e alcol, che danneggiano cuore e vasi. Infine, è opportuno insegnare ai giovani anche una buona gestione dello stress, che – avverte Barillà – contribuisce a innalzare la pressione ed è un elemento di rischio molto frequente fra i giovani adulti”.
La proteina della longevità
Un aiuto per il cuore ‘ferito’ arriva dalla proteina LAV-BPIFB4 che, come ha scoperto un team italo-britannico, influenza il comportamento delle cellule umane, rendendole più “resilienti” nel reagire a un infarto.
Il lavoro è stato finanziato dal ministero della Salute e dalla British Heart Foundation, ed è solo l’ultimo degli studi su questa proteina della longevità. “In tutti gli studi che abbiamo condotto negli ultimi anni, LAV-BPIFB4 si è dimostrata in grado di funzionare in diversi contesti patologici”, ha sottolineato Annibale Puca, capo laboratorio presso l’Irccs MultiMedica, fra i coordinatori della ricerca.
Questa proteina “ha dato prova della sua efficacia, in modelli animali, nel prevenire l’aterosclerosi, l’invecchiamento vascolare, le complicazioni diabetiche, e nel ringiovanire il sistema immunologico e cardiaco. Oggi si aggiunge un ulteriore importante tassello: la protezione dall’infarto. Tutte queste evidenze ci suggeriscono che la proteina o gene della longevità sia una sorta di strumento attraverso cui la natura ci rende più capaci di adattarci a nuove situazioni, più resistenti alle malattie”.
Replicarne l’azione in laboratorio potrebbe aprire la strada a un trattamento in grado di proteggere il cuore colpito dall’infarto, anche quello dei giovani, reso vulnerabile dallo stile di vita moderno.