L’obesità moltiplica i rischi di una lunga serie di malattie per i circa sei milioni di italiani che ne soffrono – dal diabete a diversi tumori – ‘bruciando’ fino a 15 anni di aspettativa di vita. Ma se ormai la chirurgia bariatrica si è dimostrata in grado di ridurre il 70% del peso in eccesso e le comorbidità, solo 30mila dei 3 milioni di connazionali che potrebbero beneficiarne accede a questi interventi. Effettuati per lo più nelle regioni settentrionali: qui si concentra il 55% del totale contro il 20% al Sud, il 16% al Centro e il 9% nelle isole.
E’ quanto emerge dai dati presentati in occasione del congresso della Sicob – Società italiana di chirurgia dell’Obesità e delle malattie metaboliche in corso a Napoli, che sarà seguito dal congresso della Ifo – Federation of National Bariatric and Metabolic Surgery Societies (30-31 agosto e 1 settembre). Insomma, sono giorni caldi per chi si occupa di obesità e chirurgia bariatrica.
Una malattia che va riconosciuta
“Tutti i dati in nostro possesso dimostrano che l’obesità è una malattia in sé stessa e come tale va riconosciuta sia dallo Stato che dalla società – sottolinea Giuseppe Navarra, responsabile del centro di eccellenza di chirurgia bariatrica e direttore delll’UOC Chirurgia Generale ad indirizzo oncologico del Policlinico G. Martino di Messina, presidente eletto Sicob – Questo significa capire che i malati d’obesità non hanno colpa della loro condizione. L’obesità non è un vizio, ma è il prodotto di diversi fattori, molti dei quali stiamo progressivamente isolando e comprendendo: dai processi cerebrali che regolano in maniera alterata la sensazione di sazietà alle tante disfunzioni nell’assorbimento dei nutrienti. Accettare l’obesità come patologia significa riconoscere l’impatto gravissimo delle sue conseguenze – con malattie croniche e tumori – ma anche prepararsi a garantire quelle cure alle quali i pazienti hanno diritto: dai nuovi farmaci all’accesso ai circa 130 Centri Chirurgici multidisciplinari certificati e regolati”.
Chirurgia bariatrica per molti (ma non per tutti)
La chirurgia dell’obesità è un’opzione per quella parte di pazienti con Bmi (body mass index) superiore a 30, ma è ancora una chirurgia cui si ricorre molto raramente rispetto al bisogno effettivo, secondo gli esperti. Gli interventi sono circa 30mila all’anno, ma coloro che potrebbero trarne beneficio si stima superino i 3 milioni.
“I dati sono inequivocabili”, per Giuseppe Maria Marinari responsabile Unità di Chirurgia Bariatrica all’Irccs Humanitas di Milano. “Secondo uno studio condotto dall’Università dello Utah su 22mila pazienti obesi per 40 anni, la mortalità di coloro che si erano sottoposti a chirurgia metabolica e bariatrica si è rivelata decisamente inferiore a quella delle persone con obesità non operate. A loro volta, i pazienti operati hanno una probabilità di morte inferiore del 16 per cento in assoluto e del 29 per cento per le malattie cardiache, del 43 per cento per tumore, e del 72 per cento per il diabete. La chirurgia dell’obesità – dice – va estesa ai pazienti per i quali è indicata, perché ha un impatto diretto e sostanziale sia sulla qualità di vita che sull’aspettativa di vita”.
Non è un intervento estetico
“Bisogna sfatare un pregiudizio che ancora oggi persiste – interviene Marco Antonio Zappa, attuale presidente Sicob – e cioè che la chirurgia metabolica e bariatrica possa essere considerata un intervento di tipo estetico volto a soddisfare i capricci del paziente, ‘colpevole’ di essere una persona con obesità. Questo approccio trascura invece i tantissimi fattori che portano all’obesità quali predisposizione genetica, traumi psicologici, problematiche culturali. Manca la consapevolezza del fatto che si tratta di una malattia per la quale l’intervento si può rivelare un vero salva-vita. Se non ci fosse l’obesità – ricorda – avremmo il 12% di tumori in meno nell’uomo e il 13,5% nella donna. Per questo tutti questi fattori fanno dell’obesità una malattia gravissima, la seconda causa di morte al mondo. Ma fino a quando continueremo a considerarla un problema estetico di cui il paziente è responsabile, non ne verremo mai fuori “.
Non è una bacchetta magica
“Non si pensi – ammonisce Marinari – che la chirurgia bariatrica sia una bacchetta magica per il dimagrimento oppure per l’aspetto estetico. Al contrario, è un intervento che richiede assoluta consapevolezza e assistenza. Non va bene per tutti e bisogna sapere dire di no ai pazienti, facendo anche capire che l’intervento bariatrico farà venire meno non solo lo stimolo ma anche l’interesse e la gratificazione del cibo: un elemento importante e decisivo nell’equilibrio emotivo della persona. Il paziente affetto da obesità è, infatti, una persona spesso fragile perché reduce, quando si presenta al chirurgo, da molti anni di tentativi falliti di dimagrire. Quello di cui abbiamo bisogno, dunque, è un’umanizzazione delle cure ma, alla luce del vasto bacino di pazienti che avrebbero bisogno dell’intervento, abbiamo bisogno anche di un’urgente razionalizzazione delle risorse”.
Tre interventi in uno
Nel 50% di chi soffre di obesità ed è candidabile alla procedura di chirurgia bariatrica coesistono due condizioni: ernia iatale e reflusso gastroesofageo. Grazie a una variazione tecnica della classica gastrectomia verticale è possibile risolvere le tre condizioni in un unico intervento chirurgico
La tecnica consente di ridurre il volume dello stomaco, di riparare l’ernia e di ricostruire la valvola antireflusso in una sola operazione. La sleeve “evoluta” è una delle numerose novità presentate in occasione della 26esima edizione del congresso mondiale dell’International Federation for the Surgery of Obesity and Metabolic Disorders, che si apre domani a Napoli, sotto la guida del presidente mondiale Luigi Angrisani, professore associato in Chirurgia Generale all’Università Federico II Napoli.
Come dicevamo, nel 50% degli obesi candidabili alla procedura di chirurgia bariatrica coesistono altre due condizioni, l’ernia iatale e il reflusso gastroesofageo. “La prima – precisa Angrisani – consiste nella migrazione di parte dello stomaco nel torace ed è provocata da un rilassamento delle pareti dello iato, che è lo spazio del diaframma che consente il passaggio dell’esofago. Il reflusso gastroesofageo consiste nella risalita di succhi gastrici nell’esofago ed è determinato da diversi fattori: alimentari, anatomici, ormonali e farmacologici. Lo sfintere esofageo inferiore rappresenta una barriera importante tra esofago e stomaco e quando è più debole, il contenuto dello stomaco può risalire nell’esofago, irritandolo, e questo può avvenire in presenza di ernia iatale”.
Molti pensano che la presenza di queste due condizioni possa precludere la possibilità di ricorrere alla sleeve gastrectomy. Ma non è così. “In pochi centri selezionati in tutto il mondo – riferisce Angrisani – per chi soffre di obesità con ernia iatale e reflusso gastroesofageo c’è la possibilità di ricorrere a un tipo di gastrectomia verticale modificata, o meglio ‘evoluta’, che consente di risolvere i 3 problemi con un unico intervento. È una variazione tecnica della classica gastrectomia verticale: si inizia con una riduzione volumetrica dell’80-90% dello stomaco con la formazione di un tubulo che rimane come unico deposito del cibo; si procede con la riparazione dell’ernia iatale attraverso l’applicazione di punti di sutura sul diaframma. Quindi si utilizza una parte dello stomaco asportata per costruire una valvola antireflusso in modo che il cibo passi dall’esofago all’interno dello stomaco e non sia in grado di risalire”.
Tra robot e AI
Negli anni le tecniche sono evolute. “La grande diffusione della chirurgia metabolica e bariatrica – dice Marco Raffaelli, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Endocrina e Metabolica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli – è stata resa possibile negli ultimi 20 anni dalla definitiva affermazione della chirurgia laparoscopica, cioè la tecnica mininvasiva che, attraverso piccole incisioni e l’utilizzo di microcamere, permette di effettuare interventi chirurgici complessi con ripresa più rapida e ridotte complicanze rispetto alle tecniche del passato. L’introduzione delle piattaforme robotiche ci ha poi permesso di fare un importante passo in più. L’uso dei robot chirurgici nella cura dell’obesità è particolarmente indicato in alcuni casi, i più complessi (grandi obesi, re-interventi) e permette di ridurre in maniera significativa il numero degli interventi necessari a raggiungere un livello di performance ottimale, rendendo molto più rapida la curva di apprendimento. L’impiego di programmi AI – Intelligenza Artificiale, inoltre, potrà nel prossimo futuro avvicinarci al traguardo di una medicina dell’obesità personalizzata, aiutando il chirurgo nell’esecuzione dell’intervento”.
Un approccio olistico e tech
L’approccio olistico alla cura dell’obesità si riflette anche nella strategia di aziende high-tech come Medtronic. “In Italia – ha detto il Senior Business Director Surgical Innovation, Manuel Abate – il peso della cronicità affligge il 40% della popolazione, ponendoci di fronte a nuove sfide di sostenibilità, aspettative di salute, inclusione e accesso egualitario alle cure”. E’ in corso, sottolinea Abate, una rivoluzione dell’HealthTech “dove l’assistenza sarà predittiva e personalizzata, dove i pazienti saranno curati prima e anche fuori dagli ospedali in assistenza digitale a distanza e dove ci sia un equo accesso all’innovazione, con una salute più sostenibile e inclusiva”.