Una giovane comasca e la sua azienda specializzata in apicoltura ecosostenibile da 6 milioni di insetti
Quando le telefoniamo Rebecca Bianchi sta mangiando un gelato. “Sono tornata da una sessione di allenamento in palestra”, si giustifica. Per lavorare a 24 anni ogni giorno con 120 arnie ci vogliono braccia forti. E passione. L’ora e un quarto per fare sport se l’è ritagliata a metà pomeriggio. Il resto del tempo Bianchi lo passa nella sua Azienda Agricola Gughi, a Cucciago, in provincia di Como: è un’imprenditrice agricola. L’azienda lombarda è nata un anno fa. Prima era un campo coltivato a mais intensivo da un altro agricoltore. L’amore per le api, racconta, è sbocciato durante un corso extrauniversitario. “A scuola ho studiato agraria ed ero convinta che un giorno avrei gestito un orto. Avevo il terrore delle api”, confida Bianchi.
È opinione comune che l’apicoltura sia una pratica volta allo sfruttamento delle api. “Io credo in un’apicoltura eco-sostenibile che preservi il benessere degli insetti e tuteli l’ecosistema”, spiega l’imprenditrice. Grazie alla tecnologia, ma soprattutto grazie all’uomo.
“A un certo punto ho capito che avrei comprato le mie prime arnie”, dice la giovane che in un anno ha acquistato 120 arnie e ora possiede 6 milioni di api. Ha prodotto 1.100 chilogrammi di miele e vinto diversi riconoscimenti regionali, arrivando ottava su 180 con un punteggio di 94/100 al suo millefiori (premiato con un diploma di qualità).
“Lavoro secondo regole precise. Non impiego trattamenti come l’acido formico: uccide la varroa, un acaro passita, nuocendo però anche alle api. Utilizzo invece l’acido ossalico che non lascia residui nella cera. E non produco pappa reale, che richiederebbe il continuo sacrificio di api regine per pochi grammi di prodotto. Inoltre le mie api vengono nutrite con il loro miele”, precisa l’imprenditrice che ha anche creato un ‘miele raro’: quello di ciliegio e acero, settimo nella categoria mieli rari in Lombardia.
Anche se è un lavoro a stretto contatto con la natura,l’apicoltura può avere un ‘lato tech’. “Ma al momento non è quello prevalente. Ho appena cominciato, e anche le procedure per le certificazioni sono lunghe: il mio è un miele biologico senza bollino, per ora. Quello che mi aspetto da qui a qualche anno è acquistare strumenti e innovarmi. Oggi la tecnologia può segnalare all’apicoltore anomalie come la temperatura non adeguata dell’alveare. Ma per adesso voglio concentrarmi su come migliorare il mio miele, e le mie braccia che devono spostare arnie che pesano oltre 50 chili”, sorride. “Fino a quando non ci sarà un’Ai a sostituirmi”.