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Adidas, Messi e l’Italia, matrimonio da sogno

Messi - Adidas
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Velasco25 Articolo

Matthew Davidson, Head of Global Brand Marketing Football del gruppo tedesco, spiega i segreti del successo planetario di un marchio dello sport che fattura oltre 22 mld di euro ogni anno, sul numero di marzo 2023 di Fortune Italia.

“Messi è un atleta eccezionale, un essere umano incredibile. Ogni volta che lavoriamo con lui, che raccontiamo qualcosa della sua storia, siamo noi stessi a rimanerne colpiti”. Matthew Davidson è Head of Global Brand Marketing Football in Adidas, in sostanza colui che gestisce l’immagine del marchio tedesco sul mercato globale. Lavora in Adidas da 14 anni e sa vendere bene, evidentemente. Però il caso Messi lo ha spiazzato. Le camisetas albiceleste tres estrellas (la maglietta dell’Argentina con le tre stelle mondiali e il numero dieci impresso sulle spalle) sono andate esaurite, consumate, vendute tutte in tempi record dopo la vittoria dei sudamericani in Qatar. Sold out. Chi lo legge sui siti o sulle vetrine dei negozi ci resta male. Chi lo affigge, quel cartello gode. Come ha goduto Adidas a dicembre dell’anno scorso, mentre annunciava al mondo che le maglie di Lionel Messi erano esaurite in tutto il pianeta. Le casacche della nazionale Argentina con il numero 10 sulle spalle, di qualsiasi misura, per qualunque età, finite in poche ore.

 

Matthew Davidson, Head of Global Brand Marketing Football in Adidas
Matthew Davidson, Head of Global Brand Marketing Football in Adidas

“Un successo come quello dell’anno scorso è significativo per noi su tanti livelli. A livello business siamo soddisfatti – spiega Matthew Davidson – perché un prodotto singolo ha generato un desiderio maggiore, un’attrazione trasversale: i clienti hanno acquistato il kit completo, i pantaloncini della nazionale argentina e le scarpe di Messi. Il caso Messi dimostra che Adidas svolge un ruolo cruciale per la squadra e per il giocatore: si prende cura di lui e del team, prende nota delle sue caratteristiche, ne valorizza il talento, fa in modo che giochi nelle migliori condizioni possibili. È così che Adidas diventa credibile nel mondo dello sport. La cosa davvero speciale, però, è che il caso Messi è stata la prova concreta che il nostro marchio ha il potere di cambiare una vita, o almeno la percezione della vita. Chi si scorda le scene incredibili a Buenos Aires dopo la conquista della Coppa del Mondo? Vedere il logo Adidas in mezzo alla folla, addosso a corpi felici, è stato magico. È vero che gran parte del merito va a Messi, ma c’erano anche magliette di Julien Alvarez e altri giocatori. Quando il tuo brand diventa un simbolo, una coppa, un ricordo, smetti di essere solo un prodotto perché hai un impatto sulla vita delle persone”.

“Che è la cosa più difficile”, spiega Davidson. Perché da Herzogenaurach, una cittadina della Baviera di circa 23mila abitanti, chi fa il suo mestiere deve assicurarsi che le storie di Adidas siano storie di mondo, che abbiano legittimità in Italia, in Sudamerica, negli Usa e in Cina. “Le storie sono scritte a Herzogenaurach, ma vivono altrove. Perciò se il calcio è uno sport uguale ovunque, non è uguale ovunque il modo di viverlo. La sfida mia e del mio team marketing è riuscire a connettere questi modi”.

Herzogenaurach è un’affascinante cittadina della Baviera, le strade centrali lastricate di ciottoli. Siamo non lontani da Norimberga, nel distretto della media Franconia e Herzogenaurach è famosa per essere la sede dei due storici marchi rivali: Adidas e Puma. Due aziende globali nate dalla scissione dell’azienda familiare di scarpe Gebrüder Dassler Schuhfabrik. Da questa piccola ditta locale di un paesino della Baviera nacquero i due colossi delle sneakers: la Puma a Nord del fiume Aurach; l’Adidas a Sud. Rivali come i due fratelli che diedero loro vita.

Matthew Davidson, ci può spiegare che cosa c’è dietro il successo di Adidas?

Sin dal principio Adidas ha cercato di studiare e capire al meglio il mondo dello sport e quello del consumatore, vale a dire i desideri e le esigenze degli atleti da un lato e quelli dei tifosi dall’altro. Ci chiediamo sempre come valorizzare i messaggi che loro vogliono veicolare attraverso i nostri prodotti. Qual è quello che li rende migliori? Quale storia li ispira, li intrattiene, li fa innamorare dello sport in cui sono impegnati? Queste sono le domande che ci facciamo sempre, che poi sono quelle su cui si fonda il brand Adidas.

La storia di Adidas inizia nel 1924, quando Adolf Dassler, seguendo le orme e gli insegnamenti del padre, il calzolaio Christoph von Wilhelm Dassler, comincia a produrre scarpe da ginnastica nella sua città di origine, Herzogenaurach. Adolf, detto Adi, si impegna a realizzare un prodotto che migliori le prestazioni degli atleti sportivi e nello stesso anno con il fratello Rudolf Dassler registra la Gebrüder Dassler Schuhfabrik (Fabbrica di Scarpe Fratelli Dassler). Insieme espongono le loro scarpe sul palcoscenico dello sport mondiale: le Olimpiadi. È il 1928 quando Lina Radke, mezzofondista tedesca vince l’oro di Amsterdam negli 800 metri piani con il marchio dei Dassler ai piedi. Allo stesso modo, ai giochi olimpici di Berlino del 1939 Jesse Owens vince 4 ori con il marchio Dassler.

Ma dietro i successi Adidas non c’è solo il calcio?

La storia di Adidas va oltre il calcio – che è il nostro Dna- e oltre lo sport, come dimostra il caso di Jesse Owens. Ma anche il ruolo di Adidas nel miracolo di Berna è clamoroso. Più recentemente, nel 1994, arrivano le Predator, una scarpa iconica di Adidas, a cambiare la storia del calcio. Fino a quel momento tutte le scarpe erano in pelle nera con logo e borchie cuciti sopra, poi con le Predator il mercato ha sperimentato tessuti diversi, sintetici, in grado di condizionare l’appoggio del piede. È cambiato tutto con e grazie ad Adidas, per questo dico che contribuiamo a scrivere i successi e anche la storia. Faccio un esempio più recente. In occasione della Coppa del Mondo in Qatar abbiamo girato il video della campagna ‘Impossible is nothing’ con Lionel Messi. Il messaggio che volevamo lanciare era: niente è impossibile. Nel video compaiono 5 Messi diversi, uno per ogni Coppa del Mondo cui ha partecipato, dal 2006 al 2002. Il suo viaggio parte da sconfitto, perché fino all’anno scorso non aveva mai conquistato un Mondiale, e finisce con Messi che alza la coppa. Tutto è raggiungibile con l’impegno, questo volevamo trasmettere al consumatore. Quel momento, quel Mondiale, quella coppa tra le mani è stata la prova tangibile che Adidas era il veicolo giusto, che stavamo lavorando bene. E volevamo assicurarci che la gente, che i tifosi si riconoscessero nel nostro marchio, nello stile e nel percorso che avevamo segnato.

Da quest’anno Adidas torna a vestire la Nazionale di calcio italiana. Un ritorno per il brand tedesco che aveva già vestito l’Italia nel 1974 e 1978.

Siamo entusiasti e orgogliosi, devo dire. Con l’Italia condividiamo valori simili, puntiamo ad ottenere gli stessi risultati nello sport e nella cultura. Gli italiani, come noi, hanno una passione sfrenata e incrollabile per il calcio. Lo vediamo a ogni evento sportivo, quando cantano l’inno nazionale con la mano sul cuore. Tutti si innamorano del modo in cui l’Italia vive il calcio, anche gli avversari. È un modo che appartiene agli atleti, ma ancora di più ai tifosi che contribuiscono allo sviluppo del gioco anche a livello locale. Il calcio è il Dna dell’Italia, così come lo è di Adidas, perciò è impensabile per un italiano non essere numero 1 nel calcio, non vincere un trofeo. Ci impegneremo a confermare l’Italia campione d’Europa anche nel 2024, quindi. C’è anche la Nazionale femminile, poi. Vestiremo le donne ai Mondiali di questa estate in Australia e Nuova Zelanda. Con loro abbiamo un’altra grande opportunità di raggiungere l’impossibile.

Possiamo ufficializzare la partnership con la AS Roma di cui si parla da tempo?

Purtroppo no, non ancora. Posso solo dire che noi vogliamo lavorare con i migliori. Di recente abbiamo ingaggiato anche la Nazionale giamaicana che parteciperà ai Mondiali in estate.

Da poco Adidas ha un nuovo Ceo, Bjørn Gulden. Viene da Puma, la storica rivale fondata nel 1949 da Rudolph Dassler, il fratello di Adolf, che lo stesso anno fondava Adidas. Cosa vi aspettate?

Bjorn ha dimostrato di essere un ‘romantico dello sport’, se posso usare questa espressione. Per Adidas è perfetto.

Com’è un romantico dello sport?

È qualcuno che ama lo sport a tutti i livelli, ama la sensazione che provi quando pratichi sport: ciò che ti dà fisicamente, emotivamente e mentalmente. Un romantico dello sport non segue solo quello mainstream, ma anche i tornei di ultima serie; trova le minime sfumature di cultura e valori legati alle varie attività, si affeziona ai club locali, scopre i soprannomi, gli angoli di città e paese che per quel club significano tutto. Se sei uno sportivo romantico e vivi un’esperienza come quella di Doha, non ti appassioni solo all’evento sportivo, ma alle usanze, ai costumi, alle abitudini dei tifosi di quel posto. Un romantico dello sport si innamora di ogni piccola angolatura del gioco.

Pandemia, guerra in Ucraina e qualche altro problema: anche per Adidas non sono anni bellissimi quelli che stiamo attraversando.

Oltre alle conseguenze della pandemia e agli effetti della guerra in Ucraina, è stato il caso Kanye West a pesare parecchio sulle casse di Herzogenaurach. Qualche giorno fa Adidas ha lanciato quello che gli investitori chiamano un profit warning, un avviso di profitti molto più basso del previsto. Secondo le nuove previsioni dell’azienda, nel 2023 il fatturato scenderà di circa 1,2 mld di euro (dai 22,5 mld previsti per il 2022), gli utili operativi si ridurranno di mezzo miliardo (da 669 mln) e la società dovrà registrare costi straordinari fino a 200 mln di euro. Il bilancio 2023 di dovrebbe chiudere con una perdita di 700 mln di euro. In Borsa il titolo perde più del 10%.

“I numeri parlano da soli, attualmente non stiamo performando come dovremmo” ha detto il ceo Bjørn Gulden, in carica da gennaio al posto di Kasper Rørsted . “Dobbiamo rimettere assieme i pezzi” ha aggiunto Gulden.  Oggi Adidas per fatturato è il secondo gruppo di abbigliamento sportivo maggiore al mondo dopo Nike, ma è stata messa in crisi da alcune sgangherate prese di posizione antisemite di West lo scorso autunno. Il rapper e stilista americano che ora si fa chiamare Ye (e che negli ultimi anni ha vissuto una curiosa svolta di estrema destra) è stato ‘tagliato’ da Adidas.  Chiusura immediata della collaborazione. “Sono stati anni difficili per Adidas – dice Matthew Davidson – ma siamo ottimisti per il futuro. È importante ricordare che chi nasce nello sport, chi vive di sport, torna sempre allo sport. Intendo dire che quando si vivono momenti difficili, è lo sport a offrire una via di fuga. Lo sport ti permette di scappare, di allontanare le tribolazioni e le sofferenze. Sono quelli i momenti in cui il nostro motto ha più senso: niente è impossibile”.

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