Cosa sono 5 mln di euro per Amazon? O Facebook? O Google? O una qualsiasi delle Big tech? Poca cosa, secondo il presidente dell’Antitrust Roberto Rustichelli. C’è la “necessità di disporre di sanzioni davvero efficaci, proporzionate e dissuasive nei confronti delle Big tech companies”, ha detto alla Camera per la sua prima relazione annuale. Non si tratta di severità: “i simboli della giustizia sono la bilancia e la spada. Nella mia carriera ho sempre cercato di usare la bilancia, assai poco la spada”, ha detto il presidente. Ma il massimo edittale di 5 milioni di euro rappresenta una frazione “del tutto modesta” del fatturato delle big tech, del loro patrimonio e, soprattutto, “dei profitti che possono ricavare dalle infrazioni”.
Gli strumenti per individuarle e affrontarle, queste infrazioni, ci sono già, ma c’è “l’esigenza di un rinnovamento”, dice Rustichelli. Le autorità di concorrenza, per Rustichelli, dovrebbero inoltre “essere poste nella condizione di valutare” le operazioni di concentrazione di società come Amazon, Facebook e Google che, tra il 2008 e il 2018, hanno acquisito, “spesso con l’obiettivo di eliminare futuri concorrenti, circa 300 società nella fase iniziale” di vita e senza fatturati elevati. Un altro tema che interessa il futuro della tutela della concorrenza nel settore digitale è “la collusione attraverso gli algoritmi utilizzati dalle imprese per la definizione e l’adeguamento continuo dei propri prezzi”.
E se le sanzioni per le grandi multinazionali sono irrisorie, sulle tasse non andiamo meglio. Anzi. “La Commissione europea segnala che, in media, nell’Unione le imprese del comparto digitale subiscono una tassazione del 8,5%, meno della metà di quella media delle imprese tradizionali”, ha detto il presidente della Camera Roberto Fico parlando in particolare dei giganti del web e della loro tassazione, nel suo intervento alla presentazione della relazione annuale dell’Antitrust. “Si tratta di uno degli aspetti più sconcertanti del più generale fenomeno della concorrenza fiscale dannosa: un fenomeno inaccettabile che genera evidenti vantaggi per alcuni Paesi e imprese a svantaggio di altri e del benessere comune più in generale”.
Problemi a cui si doveva rispondere con la web tax, al suo secondo passaggio da palazzo Chigi dopo quello fatto sotto il governo Gentiloni. E il provvedimento da palazzo Chigi ancora non è uscito. Dopo l’inserimento in manovra, si attendevano decreti correttivi per attuarlo. Il termine per presentarli era ad aprile. Sul tema al momento non arrivano risposte neanche dalla Commissione europea, che ha (o aveva, visto che sembra aver delegato l’incombenza ad altri) l’arduo compito di mettere d’accordo Paesi diversi, con tassazioni diverse, su quanto imposte far pagare ai giganti mondiali, che se rappresentano la fortuna di nazioni come l’Olanda, l’Irlanda, il Lussemburgo e il Regno Unito (che Rustichelli chiama “veri e propri paradisi fiscali”), rappresentano anche un danno enorme per l’Italia.
Per la precisione, un danno che va dai 5 agli 8 mld di dollari l’anno. “La concorrenza fiscale genera esternalità negative che costano a livello globale 500 miliardi di dollari l’anno, con un danno per l’Italia tra i 5 e gli 8 mld”, ha detto il presidente dell’Antitrust, che esamina la “malsana competizione frutto di egoismi nazionali” rappresentata dal dumping fiscale. Una concorrenza “di cui beneficiano le più astute multinazionali” pone le imprese italiane “in una situazione di grave svantaggio competitivo”.
“La concorrenza fiscale posta in essere da alcuni stati quali ad esempio l’Olanda, l’Irlanda, il Lussemburgo e il Regno Unito è utilizzata, come ilevato dalla Commissione europea, dalle imprese multinazionali per porre in essere forme di pianificazione fiscale aggressiva”. Rustichelli ricorda quindi anche anche una serie di numeri che danno la misura degli esiti della concorrenza fiscale. “Il Lussemburgo, paese di circa 600 mila abitanti, è in grado di raccogliere imposte sulle società pari al 4,5% del Pil, a fronte del 2% dell’Italia. Anche l’Irlanda (2,7%) fa meglio dell’Italia, nonostante un’aliquota particolarmente bassa che è, però, in grado di attrarre imprese altamente profittevoli con un margine operativo lordo mediamente pari al 69,4% del valore aggiunto prodotto”.
Anche gli investimenti internazionali si adattano alla concorrenza fiscale, ha quindi ricordato il presidente. “L’Italia attira investimenti esteri diretti pari al 19% del Pil; il Lussemburgo pari a oltre il 5.760%, l’Olanda al 535% e l’Irlanda al 311%. Valori così elevati – sottolinea – non trovano spiegazione nei fondamentali economici di tali paesi, ma sono in larga parte riconducibili alla presenza di società veicolo”.
“È necessario superare gli egoismi nazionali e recuperare un autentico spirito di solidarietà tra gli stati”, dice Rustichelli, che sul tema concorrenza presenta un ‘case study’ particolarmente rilevante per gli italiani. Il trasferimento della sede fiscale di Fca a Londra ha causato per l’Italia “un rilevante danno economico” secondo il presidente dell’Antitrust. “L’Italia è uno dei paesi più penalizzati” dalla concorrenza fiscale, si legge nella relazione annuale che cita “il rilevante danno economico per le entrate dello Stato causato dal recente trasferimento della sede fiscale a Londra di quella che era la principale azienda automobilistica italiana, nonché dal trasferimento della sede legale e fiscale in Olanda della sua società controllante”. “I gruppi multinazionali reagiscono alla concorrenza fiscale localizzando le loro imprese più profittevoli proprio nei Paesi europei con una tassazione più favorevole”, osserva Rustichelli sottolineando che “se alcuni Paesi ci guadagnano, è l’Unione europea a perderci”. “Ciò non solo drena risorse dalle economie in cui il valore è effettivamente prodotto – aggiunge il presidente dell’Agcm – ma riduce nel complesso la capacità della collettività di raccogliere risorse, in tal modo impedendo una più equa tassazione dei profitti delle imprese”.