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Ronaldo e gli altri, i campioni lasciati soli dagli sponsor

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Velasco25 Articolo

Campioni mediatici. Una specie di magnete per le multinazionali, che li avvolgono di soldi. Ma che poi, in caso di guai, tendono a scappare, allontanarsi. Cristiano Ronaldo che scompare dalla pagina ufficiale degli EA Sports, il colosso dei videogiochi, Fifa 2019 compreso, con la Nike che dice di “monitorare” la situazione, è solo l’ennesimo episodio della saga del fuoriclasse che per motivi personali rischia di cadere dall’Olimpo, con danni all’immagine che si ripercuotono nei rapporti con le multinazionali.

L’accusa di stupro da parte dell’americana Kathtyn Mayorga, con causa civile per frode, diffamazione e violazione del contratto, stipulato con la donna nove anni fa per mettere a tacere la vicenda, va veloce almeno quanto CR7 lanciato in contropiede verso la porta. E quindi, pare iniziata la fuga dei colossi legati a lui, che guadagnano centinaia di milioni di euro o dollari l’anno grazie al suo viso, al suo marchio diffuso su cartelloni pubblicitari, spot televisivi o sui social, la piazza virtuale da milioni di contatti per il portoghese. Perché nessun brand vuol veder scolorire la propria immagine o il proprio valore. E quindi, analisi della gravità della situazione, valutazione dei rischi per il brand. E poi, nella maggior parte dei casi, l’opzione drastica, la fuga. Solo una piccola parte delle aziende si mostra flessibile e comprensiva.

Prima di Ronaldo è accaduto ad altre icone dello sport e della pubblicità. Due anni fa per esempio, Maria Sharapova, la divina del tennis, squalificata per l’uso di meldonium, farmaco dopante: dopo l’assunzione di responsabilità, si salutò con Nike e poi con l’azienda svizzera di orologi, Tag Heuer, rescissione del contratto, così come con la Porsche, che decise di annullare gli impegni con la tennista sino all’ultimo atto delle indagini. E un anno prima è toccato al pugile filippino Manny Pacquiao, parlamentare in patria, uno dei più grandi sul quadrato dell’ultimo ventennio, abbandonato da Nike dopo le frasi omofobe espresse in un dibattito televisivo. Ed è stata la multinazionale americana a troncare in un attimo con Lance Armstrong, dopo la confessione sul doping, sui sette Tour de France vinti con il trucco, in diretta televisiva nel salotto più famoso degli Stati Uniti, da Oprah Winfrey. Per il ciclista texano, l’eroe che aveva battuto il cancro, mettendosi alle spalle le salite francesi, la fuga degli sponsor è stata inarrestabile, da aziende alimentari, palestre, bibite. Un esodo. E se Michael Phelps, lo Squalo di Baltimora, si è visto sospendere solo il contratto con Kellog’s perché immortalato con una foto a fumare erba da un bong, il tradimento alla moglie Coleen è costato l’accordo milionario con Coca Cola a Wayne Rooney, l’ex stella del Manchester United.

Invece risse, violenze ripetute, condanne hanno allontanato Pepsi e Nintendo da Mike Tyson. E poi c’è Kobe Bryant, l’ex cestista dei Los Angeles Lakers, forse il caso più simile a quello di Ronaldo, accusato di aggressione sessuale da una cameriera in Colorado (lui ammise l’infedeltà coniugale, parlando di rapporto consenziente) e respinto subito da McDonald’s, Ferrero, mentre Nike in quella circostanza rimase vicino al Black Mamba, che dopo l’intesa negoziale con la donna vittima della presunta aggressione vide il ritorno di marchi a cinque stelle, da Turkish Airlines a Lenovo. Infine, il caso, unico di Tiger Woods, il golfista più forte e mediatico di sempre che nove anni fa cadde nella spirale di tradimenti, alcol, rehab e dipendenza da sesso. Nike decise di rimanergli accanto con uno spot di redenzione, 30 secondi in cui Woods, in bianco e nero, in primo piano con il cappellino con lo swoosh, ascolta la voce del padre.

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