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Neutrale, tecnico, istituzionale ma con ‘dimissioni in bianco’

Neutrale, tecnico o istituzionale/del presidente, quello che nascerà nelle prossime ore sarà comunque un governo con la lettera di dimissioni in bianco in tasca. Rivolgendosi ai partiti e richiamandoli alle loro responsabilità (come fece anni fa Giorgio Napolitano), il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha tracciato un orizzonte temporale, il mese di dicembre, e, se non l’identikit, almeno il profilo del futuro presidente del Consiglio e della sua squadra dei ministri. Nomi di alto profilo ma che non coltivano aspirazioni politiche e quindi non potranno candidarsi alle elezioni e dovranno far posto a nuovi colleghi in Cdm se nei prossimi mesi si concretizzasse una nuova maggioranza parlamentare. Un governo di ‘civil servants’ a tempo determinato, che lascia però aperto uno spiraglio per un’intesa politica futura da raggiungere in Parlamento.

Oltre sessanta giorni di consultazioni, editoriali, vertici e conferenze stampa hanno dimostrato in maniera cristallina che non ci sono le condizioni per una maggioranza che sostenga un governo politico. Veti incrociati e liti, rendite di posizione e tatticismi hanno di fatto paralizzato il quadro politico mettendo Mattarella di fronte all’inevitabile scelta. Decidere di sua iniziativa consapevole che il governo che verrà sarà esposto alle asprezze della campagna elettorale, operate da quei partiti che non lo sosterranno (Movimento Cinquestelle, Lega, Fratelli d’Italia e in misura minore Forza Italia). Per paradosso, i voti al governo con le dimissioni in bianco in tasca arriveranno soltanto dal partito democratico, il partito del #senzadime o del ‘tocca a loro’ e dalla sua ridotta delegazione che prima del 4 marzo aveva formato la sua ‘coalizione’.

Sarà un governo che Mattarella, presidente che stasera si scopre ‘minoritario’ in Parlamento, dovrà comunque difendere perché “di garanzia”. Nella pacatezza dei suoi toni il presidente della Repubblica oggi è sembrato urlare metaforicamente i rischi che l’Italia si trova davanti. E non ha potuto fare a meno, come toccò in sorte al suo predecessore nel 2013, di sferzare i partiti richiamandoli alla “responsabilità”. Per ‘re Giorgio’ furono applausi surreali, per Mattarella il gelo di chi ha liquidato il governo neutrale come un “esperimento di laboratorio”. Se non ci sarà maggioranza, si tornerà alle urne. Il Colle ha fatto balenare che si potrà votare a luglio (improbabile a causa di una prevedibile alta astensione) o a ottobre (da verificare, si corre il rischio di non scongiurare l’aumento dell’Iva e non mettere in sicurezza i conti) ma certo non si fa il tifo per un rapido ritorno alle urne.

E’ la prima volta nella storia repubblicana (e pure monarchica) che una legislatura muore di fatto prima di essere nata. Saranno mesi complessi per il Paese e per il suo presidente, che non ha voluto i ‘responsabili’ necessari a garantire i voti per far partire il governo del centrodestra, ma ha chiesto ai partiti un sussulto di responsabilità.

 

 

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