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Il Tax Control Framework, uno strumento per il futuro

Il Tax Control Framework raccontato da Pasquale Formica (Slf).
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I vantaggi del Tax Control Framework per le imprese. Il parere di Pasquale Formica, socio fondatore e managing partner di SLF – Studio Legale e Fiscale.

La gestione del rischio fiscale ha un ruolo sempre più rilevante per la governance aziendale: il Tax Control Framework (Tcf), strumento centrale per il regime di adempimento collaborativo, “rappresenta l’ambiente di controllo utile a minimizzare i rischi fiscali che le imprese corrono”. Ne abbiamo parlato con Pasquale Formica, socio fondatore e managing partner di SLF – Studio Legale e Fiscale.

Innanzitutto, come si colloca il Tax Control Framework all’interno del regime di adempimento collaborativo?

Va fatta una premessa: l’ordinamento tributario oggi è interessato da una riforma fiscale molto ampia che investe sia profili sostanziali che procedurali. E che ha ampliato e ulteriormente rafforzato un istituto preesistente: appunto quello dell’adempimento collaborativo.

Questo prevede che quando l’impresa si dota di strumenti di organizzazione interna adeguati a prevenire il rischio fiscale può ottenere delle premialità. Tutto è basato dunque su una logica di ‘scambio’ tra l’impegno alla trasparenza del contribuente e il riconoscimento di questo impegno da parte dell’Amministrazione finanziaria.

In che modo? In termini di sanzioni più basse, di un migliore dialogo preventivo, di risposte più rapide. Quindi, una serie di vantaggi che sono riservati ai contribuenti che si dimostrano particolarmente affidabili. Il criterio per definire un contribuente affidabile rispetto agli altri è proprio la creazione e l’implementazione, all’interno della propria organizzazione, di un adeguato Tax Control Framework.

Di cosa si tratta e come funziona?

Il Tcf è un sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali, anche in ordine alla mappatura di quelli derivanti dai principi contabili applicati dal contribuente. Si tratta di partire da tutti i cicli aziendali, individuando regole, procedure di controllo e specifici centri di responsabilità. Volendo semplificare quindi, il Tcf è l’ambiente di controllo che permette alle imprese di minimizzare, presidiare e controllare i rischi fiscali associati al business aziendale.

Ecco, quali sono più nello specifico i benefici di questo tipo di regime?

Intanto, i vantaggi di tipo reputazionale: un’azienda che sa controllare i propri rischi fiscali è percepita come più sana e affidabile. E poi tutta una serie di altri benefici più espliciti. Su due di questi, principalmente è intervenuta la riforma fiscale.

Il primo è la riduzione dei termini di accertamento, per cui l’Agenzia delle Entrate ha minor tempo per controllare i contribuenti. E, questo, naturalmente si pone nella logica di un dialogo fisco-contribuente che diventa la regola e non più l’eccezione.

Il secondo è invece il cosiddetto ‘diritto al dissenso’ e rappresenta un’innovazione epocale dal punto di vista normativo perché prevede che il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di avere chiarimenti – ad esempio rispetto alla corretta applicazione di una norma tributaria – abbia anche diritto a dissentire dall’opinione dell’Amministrazione stessa, senza subire particolari conseguenze negative in termini di penalità. Questo fa sì che il contribuente possa tenere il comportamento ritenuto più corretto, senza incorrere in sanzioni amministrative o nel reato di infedele dichiarazione.

È evidente che verosimilmente si accederà al contenzioso – naturalmente l’Amministrazione finanziaria rimarrà del proprio parere e svolgerà l’ordinaria attività di accertamento – ma sarà un contenzioso più ‘sostenibile’ perché non gravato di maggiori oneri e non rilevante sul piano penale nei termini anzidetti. La possibilità di dissentire senza rischiare sanzioni rende più ‘orizzontale’ il rapporto fiscale.

Ci spostiamo sulle Pmi: quali sono le peculiarità dell’applicazione del Tcf alle piccole realtà?

L’adempimento collaborativo era originariamente pensato e strutturato per contribuenti di grandissime dimensioni. Con la riforma fiscale si è stabilita la riduzione delle soglie di accesso che a tendere, dal 2028, arriveranno a 100 mln di euro di fatturato, mentre oggi sono di 750 mln. Quindi si tratta comunque di realtà di una certa rilevanza.

Accanto al regime di adempimento collaborativo, che possiamo definire ‘pieno’, è previsto però anche un regime opzionale: una piccola impresa, magari con un volume di fatturato di qualche decina di milioni di euro e che vuole mettere sotto controllo tutti i cicli aziendali, potrà accedervi. Le Pmi, in non pochi casi, hanno però una dimensione più ‘padronale’ e quindi scontano un gap dal punto di vista della cultura del controllo dei rischi. In questo senso implementare il Tcf può comportare dei costi che sono sia ‘impliciti’ che ‘espliciti’.

Che tipo di costi?

Nel caso di quelli ‘impliciti’ si tratta di superare delle rigidità che esistono ma devono essere abbattute nell’ottica di creare una realtà più resiliente, più tecnologica e più capace di stare sul mercato. A tutto ciò si accompagna poi una serie di costi ‘espliciti’, anche relativi ad attività consulenziali e di presidi IT, legati proprio all’implementazione del Tcf e più in generale agli strumenti di presidio del rischio.

E qui c’è una sfida per i consulenti e per tutti coloro che si occupano di queste tematiche, nel senso di sviluppare un ‘know how’ più moderno ed evoluto, orientato ad una adeguata conoscenza sia di temi procedurali e di mappatura dei rischi sia più marcatamente fiscali.

Quindi perché sostenere questi sforzi?

Per evolversi e far evolvere le competenze aziendali, non solo fiscali ma anche in termini di comprensione e presidio di tutti i processi, inclusi quelli di tipo contabile.

Implementare il Tcf in azienda significa, infatti, diventare fin da subito un soggetto più ‘credibile’ agli occhi del fisco e non solo. Tutti i costi di cui abbiamo parlato, dunque, sono da considerare dei veri e propri investimenti: le Pmi che istituiscono il Tcf fanno uno sforzo di comprensione del loro meccanismo di funzionamento.

Come? Individuando i processi generatori di potenziali rischi fiscali; le figure chiave per i centri di responsabilità, presidiando e mettendo per iscritto le procedure operative da seguire e, più in generale, facendo ordine dentro la propria organizzazione.

Tutto questo genera crescita, perché migliora la capacità di accesso al credito ma anche quella di realizzare operazioni di finanza strutturata. E inoltre questo sforzo può essere particolarmente utile anche in occasione di un eventuale passaggio generazionale, da affrontare con una realtà aziendale più strutturata in termini di processi e presidi, ma anche più tecnologica.

Qual è l’impatto dell’AI sugli strumenti di controllo?

È chiaro che implementare dei sistemi di controllo del rischio significherà sempre di più digitalizzare e quindi sviluppare, anche tecnologicamente, un’impresa. Grazie alla digitalizzazione si garantiscono infatti la tracciabilità di quanto viene fatto e la sicurezza dei dati.

Un cruciale investimento per un Tcf efficace è quello tecnologico. In questa prospettiva l’impatto dell’intelligenza artificiale sui modelli di controllo, in generale, e di controllo del rischio fiscale, in particolare, sarà sicuramente notevole.

Si tratta infatti di uno strumento con potenzialità assolutamente evidenti ed ampie, che consente di verificare una gran mole di dati in poco tempo, facilitando alcuni processi e controlli automatizzati. Anche in questo senso, riuscire a raccogliere le sfide che vengono dal futuro, passando per la creazione di un meccanismo tecnologicamente avanzato di presidio del rischio interno, è sicuramente un passaggio che ritengo assolutamente auspicabile. Se non, per chi intende crescere in maniera sana, addirittura fondamentale.

L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia dell’aprile 2025 (numero 3, anno 8)

 

 

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