A colloquio con la direttrice editoriale di Rizzoli, che parla di come l’editoria italiana sia diventata più femminile, plurale e inclusiva.
L’amore di Federica Magro per i libri viene da lontano e anticipa notevolmente il suo ingresso nel Gruppo Mondadori. Friulana, laurea in Lettere e dottorato in Filologia romanza, il suo sogno di giovane studentessa era “salvare i libri dall’oblio”. Oggi è direttrice editoriale di Rizzoli e sull’importanza delle donne per il settore dell’editoria non ha dubbi: “La maggior parte dei lettori sono, di fatto, lettrici”.
Il suo ingresso nel Gruppo Mondadori risale al 2001. Qual è stato il percorso che l’ha portata nella sua attuale posizione?
Nel 2001 ho lasciato la ricerca e i testi antichi per un’editoria più moderna. Ho lavorato a lungo agli Oscar Mondadori, poi nel gruppo Rcs come responsabile della Bur. Due anni fa mi hanno affidato la direzione editoriale di Rizzoli, dentro al Gruppo Mondadori, che nel frattempo aveva acquisito Rcs Libri.
Lei infatti ha un dottorato in Filologia romanza: quello per i libri è un amore antico.
Volevo salvare i libri dall’oblio, ricostruendo i testi delle origini delle letterature europee. Prima dell’invenzione della stampa ne circolavano solo poche copie manoscritte per un numero molto ridotto di lettori, ad eccezion fatta di qualche bestseller come la Bibbia e la Divina Commedia, di cui ci sono arrivati quasi 600 esemplari.
Durante la sua carriera ha lanciato importanti autori: come si sceglie un libro da pubblicare?
Incrociando vari criteri di valutazione: si cerca di intercettare i gusti o i bisogni dei lettori, altre volte di anticiparli, ma alla base delle scelte c’è anche una buona dose di hybris editoriale, o quanto meno una forte intenzione.
Qual è oggi lo stato dell’editoria in Italia?
È in buona salute, direi. È sopravvissuta a varie crisi – il mercato a valore è ritornato a livelli antecedenti il 2011 – e a rivoluzioni tecnologiche epocali come quella digitale.
Credo che il motivo stia nella sua natura: sia nell’intrattenimento che nell’informazione, la lettura richiede partecipazione attiva, rielaborazione, una fruizione che rende il soggetto maggiormente protagonista rispetto dell’ascolto di un podcast o la visione di una serie tv.
Non sono una neuroscienziata ma mi piace immaginare che sia un processo che attivi un maggior numero di sinapsi e rilasci maggiore serotonina. Insomma la lettura e il piacere che ne deriva sono esperienze che non sono ancora state rimpiazzate.
Come definirebbe la sua leadership?
Non saprei: inclusiva? Penso che se la meta è condivisa, sia più facile remare tutti nella stessa direzione.
Il direttore generale di Rizzoli, Massimo Turchetta, in un’intervista disse che se l’editoria sta in piedi oggi è merito delle donne. Che ne pensa?
Che ha ragione. La gran parte dei lettori sono di fatto lettrici. E il 70-80% di chi lavora nelle case editrici è donna.
Quando è stata nominata direttrice editoriale ha affermato che la sua ambizione era tenere la Rizzoli al centro del dibattito. È soddisfatta del lavoro fatto fin qui?
Questa è una vocazione di Rizzoli da sempre. Nell’ultimo anno abbiamo pubblicato con grande passione e convinzione ‘Cara Giulia’ di Gino Cecchettin, un padre che ha perso una figlia vittima di femminicidio e si interroga sulla cultura patriarcale in cui cresciamo i nostri figli.
Ma anche ‘Dare la vita’, un breve e incisivo saggio di Michela Murgia su famiglia e maternità non biologiche; poi il bestseller dello psicologo e sociologo americano Jonathan Haidt ‘La generazione ansiosa’, che offre un quadro mai così documentato e ragionato del malessere giovanile; infine l’importante autobiografia di Angela Merkel.
Solo per citarne alcuni. La saggistica e i nostri romanzi di maggior successo di quest’anno avevano al centro questioni di cui si è molto dibattuto: la possibilità di ricostruire una vita dopo un percorso carcerario, in ‘Cuore nero’ di Silvia Avallone e il tema del femminicidio, che è al centro della vicenda narrata in ‘Tutta la vita che resta’ di Roberta Recchia.
Quali sono i suoi prossimi obiettivi?
Ci accingiamo a pubblicare una serie di romanzi brevi che crediamo faranno discutere: dieci grandi scrittrici raccontano i Comandamenti da un’ottica contemporanea e per la prima volta femminile.
Cosa significa per una donna della sua generazione occupare un ruolo di potere come quello che ricopre?
Penso che le donne della mia generazione più che poteri abbiano avuto moltissimi doveri. Abbiamo una carriera parallela come ‘caregiver’, dall’accudimento dei figli ai genitori anziani e altri soggetti fragili.
È quello che l’economista Azzurra Rinaldi ha classificato come welfare mediterraneo: una percentuale importante di lavoro non retribuito ‘affidato’ alle donne, che spesso per questo non riescono a svolgerne un altro o a dedicarsi appieno alla carriera fuori dalle mura domestiche.
Non è una questione femminile o femminista, riguarda tutti: stiamo perdendo energie e creatività sul lavoro, punti di Pil, contributi pensionistici. Ma nutro un grande ottimismo verso le nuove generazioni: sono più libere ideologicamente e lucide, c’è una maggiore solidarietà tra i sessi.
Anche se fuori continuano a mancare asili e servizi per i non autosufficienti, dentro le aziende le cose stanno cambiando molto. Ad esempio lo smart working, che alcune realtà come il Gruppo Mondadori hanno reso strutturali dopo il Covid, rappresenta un forte sostegno alla genitorialità.
Spero che la guerra all’inclusione iniziata oltreoceano con l’insediamento di Trump non rappresenti una battuta d’arresto su questo fronte anche per l’Italia, che di per sé sconta un forte ritardo in queste politiche rispetto agli altri Paesi Ocse.
L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia dell’aprile 2025 (numero 3, anno 8)