Proprio quando manca poco, i giochi si complicano. E questo accade anche nel caso della lotta all’Hiv: i progressi in questi anni sono stati importanti, ma ancora oggi 8.600 persone in Italia sono positive al virus senza saperlo, e circa 27mila hanno una carica virale non soppressa. Così l’obiettivo di mettere fine all’epidemia entro il 2030, come stabilito dalle Nazioni Unite, non sembra proprio a portata di mano.
Se ne è parlato a Roma, al Summit ‘Ending the HIV Epidemic in Italy’, con istituzioni, decisori politici, esperti del mondo medico-scientifico e rappresentanti delle associazioni uniti per accendere i riflettori sulla lotta al virus. “Ci siamo quasi, non dobbiamo perdere l’opportunità per arrivare finalmente alla nuova legge su Hiv-Aids“, ha sottolineato Massimo Farinella, responsabile salute del Circolo Mario Mieli di Roma. Ma le sfide non mancano.
E questo nonostante i progressi della ricerca: le terapie antiretrovirali e la PrEP (profilassi pre-esposizione), che evolve. Lo comunque stigma resiste: gli ultimi dati italiani indicano che nel 2023 sono state registrate oltre 2.300 nuove diagnosi, il 60% quando il sistema immunitario è già compromesso. Insomma, il virus circola ancora.
La sfida è globale
“Non va per niente bene: nel mondo abbiamo 1,4 mln di nuove infezioni – sottolinea Stefano Vella, infettivologo e docente di Salute globale all’Università Cattolica – Va garantito un maggior accesso alle terapie sia per prevenire l’infezione, sia per curare chi l’ha contratta. La storia dell’Hiv ci insegna che ogni traguardo è stato raggiunto grazie alla collaborazione tra ricerca scientifica, attivismo e volontà politica. È questo il modello che dobbiamo rilanciare oggi, per superare le disuguaglianze nell’accesso ai trattamenti, rafforzare l’aderenza terapeutica e rimettere al centro la prevenzione. Solo così – insiste, dicendosi ottimista – potremo davvero parlare di fine dell’epidemia”.

Le novità della ricerca sulla prevenzione dell’Hiv
Intanto la ricerca non si è fermata, ed è in arrivo una strategia innovativa di prevenzione dell’Hiv che prevede un trattamento semestrale: una nuova opportunità per coloro che non si adattano agli attuali regimi terapeutici. Ma anche una rivoluzione definita “Breakthrough of The Year” dalla rivista ‘Science’. Tuttavia l’adozione più ampia della prevenzione e della PrEP è ostacolata da vari fattori, tra cui la mancanza di accesso e le difficoltà nel proseguire le terapie.
Non solo Hiv
C’è un problema, in generale, con le malattie trasmesse per via sessuale. “Abbiamo 4 milioni di persone con una di queste patologie. La gonorrea è raddoppiata in 2 anni, mentre sifilide e clamidia hanno segnato un +25%”, ammonisce Barbara Suligoi, Direttore del Centro Operativo Aids (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità.
“Allo stato attuale, si stima che in Italia ci siano circa 140.000 persone che vivono con l’Hiv” ricorda Andrea Antinori, direttore del Dipartimento Clinico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani Irccs di Roma.
“Per affrontare davvero l’epidemia, è fondamentale mettere in campo strategie di prevenzione strutturate, che rendano accessibili strumenti come il test per l’Hiv, il profilattico e soprattutto la PrEP. Serve un investimento deciso su informazione, cultura della percezione del rischio e servizi territoriali, come i checkpoint, che devono essere rafforzati anche grazie a risorse pubbliche. Dobbiamo uscire dalla logica del volontariato a ogni costo. Solo con una risposta condivisa – scandisce Antinori – potremo far emergere il sommerso, interrompere le nuove infezioni e costruire una rete di prevenzione davvero efficace”.
Nel frattempo occorre formare al meglio gli specialisti, senza lasciar sfumare l’opportunità di un cambio di passo nella lotta al virus, sottolinea Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit.
Le parole sono importanti
“Il concetto di U=U (undetectable=untransmittable, ovvero non rilevabile, non trasmissibile) è stato rivoluzionario. Ma occorre trovare il modo di parlare ai giovani e diffondere le informazioni corrette: dobbiamo ricordare che abbassando la carica virale si impedisce la trasmissione del virus da parte della persona con Hiv”, ricorda Filippo Leserri, presidente di Checkpoint Plus Roma.
Tutti d’accordo, gli esponenti delle associazioni come Filippo Von Schloesser (presidente di Nadir Ets), Massimo Cernuschi (coordinatore Milano Check Point Ets) e Lella Cosmaro (responsabile area Prevenzione Lila Milano), sull’importanza della comunicazione per abbattere lo stigma e promuovere una cultura di inclusione e informazione. Diagnosi, screening e terapie devono uscire dagli ospedali e raggiungere le persone. Ma, certo, il clima anche internazionale solleva non poche ombre sul futuro della lotta al virus.
Verso la nuova legge sull’Hiv/Aids
“L’Hiv è una questione di salute pubblica che non può essere affrontata solo con approcci locali o settoriali, ma deve essere al centro delle politiche sanitarie nazionali” ha detto in un messaggio Mauro D’Attis, Componente V Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione e primo firmatario della Proposta di legge sull’Hiv.
“L’impegno istituzionale va oltre la pur decisiva allocazione di risorse: occorre una nuova legge poiché è necessario garantire che i fondi pubblici siano indirizzati in modo efficace verso la sensibilizzazione e la prevenzione a 360 gradi, la cura e la riduzione delle disuguaglianze nell’accesso ai trattamenti. Così, con politiche mirate e la collaborazione con le comunità scientifiche e civili, possiamo raggiungere l’obiettivo di porre fine all’epidemia e migliorare la vita delle persone che vivono con l’Hiv”, ha aggiunto.
E la legge? “Ormai – interviene l’onorevole Gian Antonio Girelli, componente della Commissione Affari sociali alla Camera – abbiamo capito che investire in scienza è salute è un dovere. L’impegno sulla nuova legge c’è”. E la meta, confida, sembra finalmente vicina.
Un passaggio fondamentale per rilanciare, concretamente, in Italia l‘impegno per fermare l’Hiv.