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Argea, il gruppo che è diventato acceleratore del vino italiano

Massimo Romani, Ad di Argea, l'acceleratore del vino italiano.
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Intervista a Massimo Romani, Ad di Argea, il gruppo che ha aggregato i vini italiani portandoli sui mercati internazionali.

Aggregare le eccellenze vitivinicole italiane, per portare il Made in Italy sui mercati internazionali con maggiore competitività e nel rispetto dei più alti standard di qualità e sostenibilità. È questa la mission di Argea, il Gruppo che, anno dopo anno, attraverso una politica oculata di acquisizioni, sta arricchendo sempre di più il suo portafoglio di cantine. Argea – ci racconta l’amministratore delegato Massimo Romani – ha chiuso il 2024 con un fatturato di circa 454 mln di euro.

Come nasce Argea?

Il primo embrione del progetto risale al 2018, quando l’allora fondo DeA Capital della famiglia Agostini ha acquisito una partecipazione di minoranza dell’azienda vinicola Botter a Fossalta di Piave, in Veneto. Durante la prima fase, durata tre anni, abbiamo intrapreso l’espansione internazionale, stipulando le prime joint venture per lo sviluppo dei nostri principali brand. Lo slancio definitivo è arrivato nel 2021, con l’ingresso del Gruppo di private equity Clessidra. A Botter – che nel frattempo era diventato un player da 250 milioni – si è aggiunta Mondodelvino e poi Zaccagnini.

Qual è la vision del Gruppo?

Fin dal principio, sapevamo di muoverci in un comparto molto promettente, dalle enormi potenzialità. Ma sapevamo anche che il settore è frammentato e fatica a reggere la competizione internazionale. Il nostro obiettivo era quindi quello di dar vita a una piattaforma che mettesse assieme le eccellenze regionali italiane del vino. L’idea finora si è dimostrata valida: ogni anno abbiamo aggiunto un compagno di viaggio.

Che cosa differenzia Argea dai competitor?

La peculiarità di Argea è che non fa partecipazioni spurie, compra il 100% delle aziende e chiede agli imprenditori di investire nella holding, all’interno del Gruppo. Ciascun imprenditore detiene così una quota complessiva di Argea e non della singola cantina. Questo modus operandi consente un allineamento totale degli interessi: tutti sono sulla stessa barca e remano nella stessa direzione. Puntiamo a mettere assieme le eccellenze regionali, portandole nel mondo attraverso una grande capacità distributiva.

Quali sono i vantaggi di questa strategia?

Riunire tante regioni diverse ci assicura una grande varietà di prodotti. La capacità di servire i player internazionali con efficienza è un grande vantaggio competitivo. Avere nel Cda un imprenditore abruzzese, un piemontese, un veneto e un emiliano-romagnolo è molto bello, perché ognuno porta la propria visione. Ma a volte non è facilissimo trovare una sintesi. Finora però il meccanismo è stato virtuoso.

Quali sono le iniziative più importanti intraprese nel campo della sostenibilità?

Abbiamo raggiunto lo scope 1 e lo scope 2. Abbiamo aderito all’Un Global Compact e alla Sbti. Ma è stato il nostro progetto di filiera, che ha coinvolto il 60% dei fornitori, a consentirci di arrivare alla spina dorsale del settore, perché garantisce che tutti rispettino gli standard che ci siamo dati.

Tra i punti di forza di Argea figura senza dubbio l’internazionalizzazione: oltre il 90% del fatturato proviene dai mercati esteri.

È così: la nostra forza è data dalla capacità distributiva sui mercati internazionali. Chi entra a far parte della piattaforma accelera proprio perché sfrutta questa enorme potenzialità.
Il primo mercato estero è quello statunitense, che vale il 25% del fatturato. Seguono la Germania, il Regno Unito e i Paesi nordici, su tutti la Svezia. E poi il Far East, dove siamo presenti dall’Australia al Giappone, fino alla Cina e alla Corea del Sud.

Di recente avete lanciato la prima linea di vini no-alcol italiani. Quali opportunità di mercato intravede per questa categoria di prodotto?

Insieme ad altre aziende italiane, siamo stati i precursori di questa novità in un ambiente complesso.
La regolamentazione italiana non permetteva di produrre qui i dealcolati, quindi abbiamo dovuto rivolgerci a dei fornitori tedeschi. Avevamo capito che c’era un mercato. Abbiamo ottenuto l’autorizzazione dalla Fda per l’esportazione negli Stati Uniti. Da gennaio è in vigore il decreto che consente la produzione in Italia. Ad oggi abbiamo meno libertà dei francesi, che sul mercato sono più competitivi di noi, però abbiamo fatto un passo avanti importante.

Quali sono le prossime mosse con cui proverete a consolidare ulteriormente la vostra posizione nel settore?

Ci sono alcune regioni italiane in cui Argea non è presente e crediamo che, se vogliamo rappresentare l’intero territorio nazionale, dobbiamo colmare questi gap. Puntiamo a brand di rilievo e a famiglie che abbiano voglia di fare un pezzo di strada con noi. Di recente abbiamo acquisito anche un importatore statunitense di nome WinesU. Al momento dobbiamo essere cauti e vedere come evolvono le relazioni tra Usa ed Europa, per capire come sfruttare al meglio la nostra posizione in quel mercato. Io rimango ottimista: gli americani apprezzano tanto il Made in Italy e rinunciarvi sarebbe davvero un peccato.

L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune dell’aprile 2025 (numero 3, anno 8)

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