Intervista con Fabio Landazabal (Gsk Italia), che spiega come la spesa sulla salute vada considerata un investimento “in sicurezza sociale”.
La spesa in prevenzione va considerata un investimento, dicono gli economisti sanitari. Secondo alcune stime, ogni euro investito in questo modo ne genera 14. Sarebbe dunque doppiamente importante non farsi sfuggire l’opportunità di considerare gli investimenti in salute e prevenzione come “investimenti in sicurezza sociale”, simili a quelli destinati alla difesa, alla trasformazione digitale e alla transizione verde. A sostenerlo è un uomo del pharma: Fabio Landazabal, presidente e Ad di Gsk Italia, che parla di protezione, salute ed economia. Con un occhio al calendario.
La farmaceutica italiana è un’eccellenza a livello europeo, quali rischi vede all’orizzonte, e quali opportunità?
Penso al rapporto Draghi sul futuro della competitività europea: nel capitolo Ricerca e Innovazione, il settore delle Scienze della vita è indicato come area di forza ed opportunità sia per l’introduzione di nuove tecnologie, che per il miglioramento dell’accesso a farmaci e vaccini. Un ambito dove l’Italia esprime eccellenze che dovrebbero essere fatte crescere e che sarebbero utili alla competitività europea, ma prima di tutto a noi, per recuperare il gap con Francia e Spagna.
Considerare gli investimenti in prevenzione come quelli per la sicurezza nazionale sembra uno slogan, ma è la possibilità aperta dal New Economic Governance Framework europeo (Negf).
La salute è un elemento di sicurezza per la popolazione come la difesa: grazie al Negf ogni euro aggiuntivo investito in salute potrebbe uscire dal conteggio del debito pubblico italiano per sette anni, favorendo risparmi e crescita economica. Maggiore libertà d’investimento per ridurre la dipendenza dall’innovazione estera e consolidare un punto di forza tutto italiano. Gsk Italia ha qui ricerca, sviluppo, produzione ed export di farmaci e vaccini innovativi e un impegno in oncologia ed immunologia che va ben oltre le necessità locali.
In dettaglio, cosa prevede il Negf?
Si parte dal concetto di investimento come una maggiore spesa pubblica fatta oggi, che porta a una maggiore crescita e a una minore spesa domani. L’Europa sta crescendo meno degli altri Paesi industrializzati (+1,1 % del Pil nel 2024 rispetto al +2,8 degli Usa e al +4,1 delle economie emergenti) e ha bisogno di colmare questo divario e di attrezzarsi per il futuro.
Ma torniamo al Ngef: premia gli investimenti nelle quattro aree della transizione ecologica, digitale, della difesa e del miglioramento di resilienza sociale e potenziale di crescita. Se pensiamo che in 10 anni gli italiani over 50 con fragilità sono passati dal 26 al 40% è chiaro che dobbiamo investire in salute e prevenzione sia per le persone che sono ancora nel ciclo produttivo che per quelle che continuano a contribuire al Pil da pensionati.
È altrettanto chiaro che l’invecchiamento progressivo della popolazione crea una spirale negativa di costi in sanità, che va ridotta con investimenti strutturali di salute pubblica.
È possibile stimare il guadagno in salute e produttività e la riduzione dei costi sanitari ottenibili con questo approccio?
Sì, secondo il recente studio Teha con la vaccinazione anti Hpv, pneumococco, influenza ed Herpes zoster degli over 65 e dei malati oncologici si risparmierebbero 10,6 miliardi di euro l’anno di costi diretti e indiretti.
Un altro studio analogo di Altems ha invece esaminato i risparmi possibili vaccinando tutta la popolazione adulta bisognosa, secondo i livelli previsti dal Piano Nazionale. Andremmo a risparmiare quasi 10 miliardi di euro l’anno. Se pensiamo che sono oltre 11 milioni gli italiani over 50 fragili, che gli over 65 sfiorano il 24% della popolazione e che la maggioranza è portatrice di patologie come diabete, malattie respiratorie, cardiovascolari, autoimmuni e oncologiche – il cui peggioramento è legato a infezioni facilmente prevenibili con la vaccinazione – il guadagno in salute è evidente quanto quello in produttività.
Possiamo considerare questa opportunità – la difesa della salute dei fragili – come un motore di crescita per il nostro Paese?
Sì, perché l’età media della popolazione, 48,7 anni, è la più elevata in Europa. Bisogna poter continuare a far parte della vita produttiva e tenersi in salute, per noi stessi e per gli altri.
Quella italiana è la popolazione più longeva d’Europa, ma spesso gli anni si accompagnano a numerose patologie. In che modo la vaccinazione in età adulta può fare la differenza?
Se vaccinassimo nell’età adulta come nell’infanzia, le malattie prevenibili sarebbero quasi azzerate. Mentre però in Grecia, Spagna, Regno Unito e Germania la vaccinazione anti-RSV è offerta da tempo, in Italia è raccomandata e, con vaccini registrati da oltre un anno, non abbiamo ancora l’aggiornamento del calendario vaccinale.
Torniamo al Negf: c’è un’importante scadenza da rispettare…
Sì, ad aprile dovremo essere in grado di pronunciarci come Italia su questo tema. Dovremmo aumentare gli investimenti in prevenzione, passando dal 5 al 7% del Fondo sanitario nazionale, così come auspicato dal ministro della Salute Orazio Schillaci, con un vincolo per le Regioni di destinare almeno il 50% delle risorse ad attività rivolte alle persone.
In questo momento chi, come Gsk, è impegnato nella ricerca e sviluppo di vaccini deve fronteggiare un’ondata di fake news: come mai, a suo parere, queste soluzioni sono spesso vittima del loro stesso successo?
Le bugie hanno le gambe corte, dobbiamo impegnarci con le Istituzioni, le società scientifiche e le associazioni di pazienti a fare cultura, in modo che tutti i cittadini abbiano consapevolezza del loro diritto alla salute.
Da presidente di Gsk Italia qual è il messaggio alle Istituzioni italiane?
Che il ruolo e l’intesa del ministero della Salute e del Mef sono fondamentali nel migliore utilizzo delle nuove opportunità del Ngef e nel puntare ad un futuro di salute e di crescita per i nostri concittadini.
Non solo Gsk: i numeri del pharma
Il 2024 è stato un anno da ricordare per la farmaceutica italiana, anche grazie alla forza dell’export. Stando alle ultime elaborazioni Farmindustria – su dati Istat e Iqvia – la crescita dell’export a 54 miliardi di euro ha spinto la produzione a superare i 56 miliardi di euro per l’industria farmaceutica in Italia nel 2024. Un ulteriore progresso rispetto ai 52 miliardi dell’anno precedente. Sale anche l’occupazione: 71 mila addetti (+1,5%) con un picco in R&S e produzione del 3%.
L’Italia del pharma ha fatto meglio dell’Ue negli ultimi 5 anni (+65% rispetto al +57%), mentre il peso delle esportazioni di medicinali sul totale manifatturiero è passato dal 3,5% del 2004 al 9,1% nel 2025. Un aumento di quasi tre volte nel giro di due decenni. Il saldo estero di farmaci e vaccini è oggi di +21,2 miliardi, pari al 18% di quello complessivo dell’industria manifatturiera.
Un altro dato spicca come una medaglia sul petto delle imprese della farmaceutica: il gradino più alto del podio come settore che ha contribuito alla crescita del Pil tra il 2022 e il 2024. Un +17,7% a fronte del +1,4% del Pil totale.
E adesso? Se il Governo ha posto come obiettivo per l’export nel quinquennio 2022-2027 l’aumento da 626 a 700 miliardi, il che equivale a un +12%, le aziende del settore in due anni hanno già superato il target, raggiungendo quota 13%.
Risultati ottenuti a fronte di un incremento dei costi complessivi della produzione del 30%, percepiti oltretutto in ulteriore aumento. A fronte, inoltre, della stabilità dei prezzi dei prodotti rimborsati. Risultati che però non consentono di riposare sugli allori. C’è infatti la consapevolezza che sia arrivato il momento di attrezzarsi per affrontare al meglio le (non poche) sfide all’orizzonte: dai dazi, ai conflitti, passando per i costi delle materie prime, la corsa dell’innovazione e l’impatto dell’AI.
L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune dell’aprile 2025 (numero 3, anno 8)