Nell’era dello smartworking e dell’AI, non bisogna dimenticare l’importanza delle “competenze umane: come l’empatia, l’ascolto e il saper fare squadra”. Ne è convinta Manuela Vacca Maggiolini, direttore delle Risorse umane di Abbvie Italia, azienda farmaceutica che quest’anno si è piazzata al secondo posto al Best Work Places Italia nella categoria riservata alle società con più di 1.000 dipendenti.
In Abbvie dal 2013, la manager vanta oltre 25 anni di esperienza in HR presso aziende multinazionali di diversi settori: dal lusso (Bulgari/LVMH), alla consulenza in innovazione e tecnologia (Altran Group), passando per il mondo consumer (Birra Peroni), fino al pharma. “Un luogo di lavoro è attrattivo se le persone si sentono parte di qualcosa di importante”, dice a Fortune Italia. Confidandoci di guardare un aspetto particolare nei candidati al momento della selezione, al di là delle (pur necessarie) competenze.
Avete portato a casa un risultato importante, in un momento in cui la farmaceutica sta cambiando pelle. Come evolvono gli stili di leadership in un mondo sempre più digitale?
È un risultato che ci rende molto fieri. Il contesto è sempre più digitale e questo sta portando a un cambio di paradigma e di competenze chiave per un leader. Negli ultimi anni abbiamo visto come sia cruciale la capacità di saper guidare e gestire i grandi cambiamenti e la complessità di un mondo in continua evoluzione. E questo vale in particolare per il mondo farmaceutico, che cambia anche più velocemente degli altri. Lavorando da remoto servono ancora di più una solida cultura aziendale e un chiaro purpose.
È per questo che oggi per un leader è critico prestare sempre più attenzione alla dimensione umana. Credo che si debba diventare un punto di riferimento, un ancoraggio in grado di prestare ascolto, attenzione e assicurare empatia per traghettare le persone in questo nuovo mondo. Mi piace parlare di ‘leadership umana’, che si vede anche dai piccoli gesti che fanno sentire le persone importanti.
Un’altra competenza chiave è quella che io definisco ‘leadership generativa’. Ogni organizzazione ha la necessità di sviluppare talenti e leader del futuro, con competenze nuove. Penso che lo sforzo da fare per un leader sia proprio generare leadership, in un processo virtuoso che si auto-alimenta, con lo sguardo verso il futuro.
Come riuscite a fare squadra in Abbvie nell’epoca dello smartworking e delle videocall?
Certo, da remoto il coinvolgimento delle persone è più complicato. Oggi sono necessarie competenze nuove, banalmente ascoltare le persone, chiedendo loro come stanno, quali sono le difficoltà che incontrano, cosa possiamo fare per loro e anche contribuire realmente al loro benessere. Perchè scopriremo che hanno esigenze diverse, anche in base alle fasce d’età.
Abbvie è particolarmente attenta alla salute dei dipendenti, come testimoniano iniziative che spaziano dal benessere fisico a quello mentale…
I dipendenti sono il nostro patrimonio più prezioso. Per questo abbiamo avviato iniziative mirate al benessere fisico e mentale. Da anni portiamo avanti programmi mirati alla promozione di uno stile di vita sano ed equilibrato, consulenze per il supporto psicologico, check-up per tutti i dipendenti. Quest’anno abbiamo inserito la possibilità di fruire di un fisioterapista, di un osteopata e molto altro. Dunque assicuriamo un pacchetto di benefit davvero utili. Fra l’altro, voglio ricordare i programmi a supporto delle donne che tornano dalla maternità, alle quali chiediamo di raccontare ai colleghi cosa hanno imparato nel periodo in cui sono diventate neomamme.
Come assicurare alle persone la capacità di saper utilizzare al meglio gli strumenti digitali?
Facciamo tanta formazione rivolta ai diversi livelli dell’organizzazione, in partnership con business school tra le più prestigiose, come la Luiss, e attraverso programmi internazionali. Ma credo sia critico un cambiamento di mentalità, che porti a guardare alla tecnologia non come una minaccia, ma come un partner strategico in grado di eliminare dalle nostre giornate operatività, lasciandoci tempo di qualità da dedicare a quello che davvero conta.
Lei è passata dal lusso, alla consulenza, al mondo consumer a quello della salute. Qual è – se c’è – il valoro aggiunto di lavorare in questo settore?
Ho iniziato nel lusso a 24 anni: mi fece ‘girare la testa’. Bulgari era un’azienda globale di stampo padronale e in quegli anni ho imparato la passione per la bellezza e quanto il posizionamento di un brand condizioni la cultura e il modo di lavorare di un’azienda. La consulenza mi ha insegnato l’orientamento al cliente, cosa significhi ‘mettersi al servizio del business’ e il vero significato dell’ascolto attivo. Gli anni nel Gruppo della Birra Peroni e nel mondo consumer mi hanno spinto a guardare al mercato e alla concorrenza. Il mondo della salute, infine, lo considero un privilegio: lavorare per un’azienda che ha come missione quella di generare un impatto sulla vita delle persone è una leva di motivazione immensa. Sapere di poter contribuire a portare terapie a pazienti che possono essere amici, parenti, conoscenti ci rende orgogliosi di essere parte di una missione così importante.
Una curiosità: quale caratteristica la colpisce in un candidato al momento di scegliere chi assumere in Abbvie, anche al di là delle competenze?
È una domanda che mi è stata rivolta molto spesso e che io stessa mi sono fatta diverse volte come selezionatrice e, a volte, candidata. Ci sono due risposte, la prima istituzionale e la seconda più personale. La prima è che non esistono candidati buoni o cattivi, ma più o meno idonei per posizioni o culture aziendali diverse. Poi c’è la risposta più personale: se prima si dava tanta importanza alle competenze tecniche e all’esperienza, oggi sempre più si ricercano caratteristiche come la leadership, la capacità di lavorare in un team, di gestire stakeholder differenti e la complessità. Sono queste le ‘competenze umane’ che distinguono il candidato eccellente dagli altri.
Sembrerà banale, ma ho sempre cercato nei candidati gli ‘occhi che brillano’. Saper cogliere quel tratto distintivo, quel seme di un potenziale ancora da esprimere, per vedere la persona dietro il suo percorso professionale. Quando questo accade, è un momento molto bello perchè si riesce a scoprire la persona, i suoi desideri. Ecco allora che quell’incontro diventa prezioso e, se mi guardo indietro, anche uno strumento quasi mai fallace.
Cosa distingue i ragazzi che oggi si affacciano al mondo del lavoro?
Parlando con loro emerge, a mio avviso, un po’ di sfiducia nei confronti del futuro. È nostra responsabilità riportarli a una dimensione in cui siano di nuovo capaci di sognare e di credere che ognuno di loro abbia la possibilità di costruire il proprio futuro.