I dazi statunitensi fanno tremare il mondo, si parla di guerra economica, il settore del vino italiano snocciola cifre su possibili perdite ma c’è chi vede le cose in maniera diversa, proponendo la contromossa agli attacchi doganali in arrivo da oltreoceano.
“I dazi di Trump? Niente di nuovo sotto al sole. – sottolinea Livio Buffo, ceo dell’agenzia di comunicazione Cenacoli e fondatore di oscarwine – Durante la campagna presidenziale, il Tycoon ha parlato spesso di questa mossa e sono mesi che, per alcuni settori, ascoltiamo il mantra “chi non vuole pagare i dazi deve produrre negli Stati Uniti”. Tolti gli allarmismi (la famosa percentuale del 200%), il presidente Usa, come fa sempre, ha mantenuto le promesse ma c’è gente che è stupita come se avesse nevicato a Roma. Si sapeva che sarebbe arrivata una tempesta di neve, bisognava comprare il sale e organizzarsi con i mezzi pesanti.”
Troppo attendismo?
Forse poca diplomazia da parte dell’Europa con una nazione che è famosa per non voler ascoltare chi gli dice cosa fare e un evitabile endorsement politico a Biden in campagna elettorale. In ogni caso, le aziende vitivinicole non avrebbero avuto tempo sufficiente per organizzarsi su nuovi mercati che dopo questi dazi potrebbero cambiare le loro politiche e non essere più isole felici.
Il mondo del vino italiano come sta vivendo questa situazione?
In queste ore si cerca di capire la portata della questione ma è chiaro che tensione e preoccupazione sono alte. Nel corso di questa edizione di Vinitaly stiamo parlando con i nostri produttori e grossisti ma soprattutto con i buyer statunitensi per raccontare come è l’altra faccia della Luna. Si tratta del vero confronto sul tema dopo l’annuncio dell’indipendence day economico.
Parliamo del 20% di dazi riservato all’Europa.
La scena di Trump con la lavagnetta è stata un bel colpo comunicazione, ha dato agli americani un’immagine di paese vittima ma magnanimo con l’applicazione di tariffe ai “nemici” dell’economia stelle e strisce pari ad appena la metà dei dazi subiti dagli Usa in altre economie: il mondo diviso in due, la buona America e le nazioni approfittatrici. Il punto comunque non è la politica della reciprocità voluta da Trump né il deficit commerciale degli Usa, discorsi che lascio agli economisti.
E quale sarebbe?
I prezzi alle stelle e il ridotto potere d’acquisto dei consumatori. Pensi a un vino italiano di fascia bassa, un prodotto di largo consumo fra le famiglie Usa: con i dazi salirà alla fascia media, rimanendo della stessa qualità. Lei pagherebbe un Sauvignon che fa acciaio, un prodotto molto semplice, come uno più strutturato affinato in botti di legno? Detto questo, dove i nostri vini non saranno più competitivi per il prezzo, avranno gioco facile i produttori di quelle nazioni che subiranno tariffe inferiori a quelle riservate al vecchio continente.
Le perdite a quanto ammonterebbero?
Secondo i dati di Unione Italiana Vini, sarebbero a rischio 364 milioni di bottiglie, per un valore di oltre 1,3 miliardi di euro, pari al 70% dell’export vinicolo italiano verso il mercato americano. Consideri che gli Usa sono i primi consumatori di vino tricolore al mondo, acquistando il 25% del nostro export. Vino invenduto potrebbe significare posti di lavoro in meno e rischio di chiusura per alcune delle nostre aziende: il pericolo esiste. Pensiamo alla riduzione dei consumi registrata ultimamente nel nostro paese, ai costi di produzione (alti vista la qualità dei prodotti), a quello del lavoro e quello dell’energia, tra i più cari in Europa: ci mancava solo lo schiaffo americano per peggiorare le cose.
Chi potrebbe salvarci?
Tutti speriamo che l’amicizia Trump/Meloni possa favorire una soluzione accettabile ma l’inquilino della Casa Bianca non ha fatto sconti a nessuno. L’Europa ovviamente farà una trattativa generale ma qui si apre un altro fronte.
Quale?
Per quanto riguarda l’agroalimentare, gli health warning irlandesi, il nutriscore e le politiche salutistiche che stanno dipingendo il vino come la causa di tutti i tumori sono la dimostrazione che l’Italia non ha facilità di movimento o dialogo all’interno della Ue. Se domani le aziende vitivinicole fossero costrette a inserire gli avvisi sanitari sulle bottiglie per alcuni mercati, sarebbe un altro costo da aggiungere ai dazi statunitensi. Crescono le uscite, si riducono le entrate: la conseguenza di tutto questo è abbastanza logica.
Non c’è via di fuga?
Diciamo che la miglior difesa è l’attacco e l’Italia potrebbe iniziare a combattere il fenomeno dell’italian sounding. Negli Usa ci sono aziende che producono localmente beni agroalimentari che, per il nome, vengono ritenuti italiani e comprati, togliendo fatturato alle nostre aziende. Al mondo, due prodotti su tre sono italian sounding e il fenomeno è più diffuso oltreoceano: secondo dati Coldiretti, negli Usa si parla di 40 miliardi in valore. Forse sarebbe ora di combattere questa strategia sleale di marketing e riprenderci quello che è nostro. Sarebbe anche un modo per fare cultura e farci conoscere meglio all’estero.
A proposito di nostro… la comunità italo americana come prenderà questa storia?
I miei amici trapiantati negli Stati Uniti paventano un aumento dei prezzi che li costringerà a ridurre i consumi. Ovviamente gli altospendenti se ne infischieranno ma per loro ci sarà un’altra sorpresa.
Quale?
Pensiamo alle aziende statunitensi fondate da italiani (oltre a quelle locali ovviamente) che importano materia prima dall’estero o, perché conveniente, hanno la manodopera proprio nei paesi colpiti dai dazi di Trump. Le tariffe colpiranno anche loro, pur passando da altre strade; è difficile immaginare che, come vorrebbe il presidente, si possano riportare interamente le linee produttive negli Stati Uniti, assumendo addirittura nuovo personale magari, in alcuni casi, anche da formare: comporterebbe un aumento dei costi che si riverserebbe su clienti e consumatori, riducendo i loro margini di guadagno.
Cosa significa?
Che il presidente Trump potrebbe dover discutere anche con la comunità straniera che più di tutte ha contribuito a portarlo alla Casa Bianca. La guerra dei dazi, se vogliamo chiamarla così, è appena iniziata, adesso siamo nel campo delle speculazioni ma alcuni scenari si iniziano ad intravedere.