Con duecentottanta milioni di euro di export a stelle e strisce, Modena è la seconda provincia emiliana più esposta all’impatto dei dazi americani. La prima è Parma, che come Modena fa parte di quella Food Valley che al mondo (e agli Usa) invia ogni anno quantità industriali di parmigiano reggiano, prosciutto di Parma e Lambrusco. I dazi sono solo uno dei problemi della valley, ma adesso sono il più urgente. Lo spiega Alberto Notari, che per rispondere alla telefonata spegne il trattore mentre cerca di difendere le piante già germogliate dalla brina. Notari coltiva, con i genitori, 15 ettari a Santa Croce di Carpi, cuore del Salamino di Santa Croce DOC. “Uno dei Lambruschi più esportati al mondo”, dice.
Il comparto agricolo della regione si fonda su una rete di imprese di piccola-media dimensione, spesso a conduzione familiare, che lottano contro il cambiamento climatico mentre “rifiutano le proposte delle multinazionali” per i terreni su cui installare il fotovoltaico, racconta Notari, che è anche presidente Emilia Centro di Cia-Agricoltori italiani, che ha diffuso i danni sugli impatti economici dei dazi USA.
La provincia di Modena è ricca di cibo e vino, ma anche di industrie da alimentare con il solare e autostrade nei pressi delle quali installarlo. La Regione Emilia-Romagna tra le più colpite, con 995 milioni di euro di export verso gli USA, il 13% dell’Italia. Modena, in particolare, è una delle province con il maggior impatto.
Il problema dei dazi e l’impatto sull’export
Come si tradurranno concretamente i dazi di Trump? “Il rischio è che a pagare siano i due anelli più deboli: i produttori e i consumatori”, dice Notari. “Il dazio colpisce al momento dell’ingresso doganale: o lo assorbono le aziende, con rischio di produrre sottocosto, oppure lo paga il consumatore con un aumento dei prezzi. Per prodotti premium (una bottiglia da 50 dollari), l’impatto è minore. Ma per il Lambrusco, che va a scaffale a 5,99 dollari”, anche un solo dollaro è un problema enorme.
Perché, spiega Notari, “perdere lo scaffale è il peggior scenario possibile: tornare a riconquistarlo è costoso e difficile”.
Con le aziende che rischiano di perdere quote di mercato, la reazione potrebbe essere quella di abbassare i prezzi per rimanere presenti nei canali distributivi, con un impatto diretto sulla marginalità. “E pochi hanno un margine del 20% che consenta di assorbire il colpo. Siamo di fronte a uno scenario dove solo la diplomazia europea può intervenire”.
Un futuro incerto per le piccole imprese
Cosa succederà a quell’universo frammentato di piccole imprese che compongono la food valley italiana – e non solo? “Il rischio è una progressiva scomparsa delle piccole aziende, assorbite da realtà più grandi o riconvertite ad altri usi”, dice Notari. La redditività è in calo e i costi aumentano, e in molti casi si iniziano a ricevere offerte da multinazionali per convertire i terreni agricoli in impianti fotovoltaici, con una perdita definitiva di superficie produttiva, spiega Notari.
La fase dell’incredulità
Nessuno, tra i produttori, ha ancora capito come poter resistere, anche se si è cominciato a parlare di spostare l’export su altri Paesi. Neanche il Trump 1 può preparare a sufficienza, secondo Notari: “Questa è una tagliola che non si è mai vista. In questo momento siamo ancora nella fase dell’incredulità. Vinitaly sarà il primo vero banco di confronto per trovare strategie di sopravvivenza”. Le aziende aspettano chiarimenti, mentre nel frattempo i commercianti si confrontano per ipotizzare aggiustamenti di listino e nuove strategie. Il timore, però, è che si continui a ragionare azienda per azienda, in modo frammentato, senza una visione di sistema mentre “la trasformazione del mondo del vino è già in atto. Le piccole aziende tendono a essere assorbite, e questa potrebbe essere solo l’accelerazione finale”.